AVVISATORE BIBLIOGRAFICO
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In polemica con Michelet, l’A. nega
che la scienza nuova vichiana possa esse-
re intesa come filosofia della storia, il cui
principio motore viene riposto in una
causalità immanente. Essa è invece
«scienza» della storia, basata sulla identi-
ficazione delle leggi universali dello svol-
gimento cui tutte le storie si conformano.
Particolarmente rilevante diviene in
questo contesto la critica vichiana alla
boria dei dotti, che segna il distanzia-
mento di Vico da una tradizione di apo-
logetica politica di cui l’A. ripercorre la
storia italiana. Ammettere l’antichità su-
periore di una civiltà rispetto ad altre
comporterebbe, nel quadro architettoni-
co della scienza vichiana, l’ammissione
dell’esistenza di una causalità storica che
le connette e le determina. Non ne va
dunque solo dell’ansia di salvare la sacra
autonomia ebraica dall’influsso egizio,
ma di una concezione della storia come
scienza nella quale nessun potere causale
determinante immanente allo svolgimen-
to della storia stessa può deviare dalle
leggi della storia ideale eterna.
Ma come leggere in questo quadro
l’‘eccezione’ di Roma? La storia ideale
eterna medesima sembra una generaliz-
zazione della storia romana, assunta a
prototipo del «giusto passo» dei tempi.
Una tesi che non solo è epigonale ri-
spetto a una lunga tradizione, ma, come
mostra la critica vichiana, non riceve in
Vico neppure supporti metodologica-
mente innovativi. Solo sul piano episte-
mologico illuminato dalla filosofia, e
non su quello della filologia, sembra
chiarirsi il ruolo fondazionale della pro-
totipicità della storia romana. Il termine
«passo» nell’espressione «giusto passo»
denota il «ritmo» a partire dal quale
pensare le singolarità dei corsi storici
delle altre nazioni, consentendo di in-
tenderli non come alterazioni della se-
quenza normativa del corso, ma solo
come contrazioni o dilatazioni del suo
svolgersi.
Per quanto rigorosa sul piano filologi-
co, ed estremamente condivisibile quanto
alla necessità di non sovrapporre le ambi-
zioni epistemiche vichiane con le pretese
totalizzanti di molte filosofie della storia
successive, questa vivace ricostruzione
suscita qualche riscontro critico.
Se appare generalmente condivisibile
l’identificazione tra filosofia della storia e
assunto di una causalità ad essa imma-
nente, il modo in cui questa causalità
viene rappresentata è, nella molteplicità
degli autori, molto variato e spesso
complesso. Non sempre questa causalità
prende le forme di una trasmissione più
o meno determinante della cultura da
una civiltà all’altra. Lo stesso Hegel, le
cui pretese totalizzanti non sono certo
trascurabili, non ammette ad esempio
una simile trasmissione concreta. Esclu-
dere inoltre Vico dall’orizzonte delle filo-
sofie della storia con l’argomento che la
storia non possiede in lui una autonoma
causalità immanente, rischia di annullare
senza affrontarle sul loro terreno inter-
pretazioni epocali del suo pensiero, in
particolare riguardo al
verum factum
e
all’immanentizzazione della provvidenza.
In secondo luogo, la fine decodifica-
zione del significato fondativo del «giu-
sto passo», lungi dal togliere argomenti
ci sembra rafforzare l’evidenza che Vico
avverte fortemente il problema
di
, ed è
alla ricerca di strumenti
per
pensare, a
partire dal quadro normativo della storia
ideale, la singolarità delle storie delle na-
zioni, che ci sembra infine comunque
trascendere la ‘combinatoria’ risultante
dalla loro specifica sincope del ritmo.
Vico ci sembra piuttosto collocarsi sullo
stesso crinale magistralmente descritto
da A. G
RAFTON
(
Prolegomena to Fried-
rich-August Wolf
, in
Defenders of the
Text. The Tradition of Scholarship in an
1...,215,216,217,218,219,220,221,222,223,224 226,227,228,229,230,231,232,233,234,235,...256