GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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isolamento e la pretesa arretratezza vichiana». Era «un’esperienza euro-
pea» quella vissuta da Vico, «sia pure in forme bizzarramente per-
sonali», «dal suo angolo napoletano, del resto non trascurabile centro di
cultura e molto meno ‘angoletto morto’ di quanto credeva Gramsci»
69
.
L’affermazione (pronunciata senza l’usata cautela…) che «su una mes-
sa in discussione della concezione meccanica della natura si fonda, pur
nella varietà delle sue direzioni,
tutto
il neoumanesimo settecentesco», del
quale è indice eloquente «il richiamo programmatico a Bacone e non a
Cartesio», si lega allora a quella secondo la quale «Vico è esattamente col-
locato alla svolta neoumanistica del Settecento, con una
singolare consa-
pevolezza
della crisi epistemologica della rivoluzione scientifica»
70
.
Era una posizione critica assai condivisibile, a mio giudizio, laddo-
ve, sia pure in estrema sintesi, leggeva poi il fondamento della vichiana
scienza del mondo delle nazioni, diretta alla conquista del «senso del
divenire umano», nella «sempre più lucida scoperta» di esplicative
«uniformità», che certo non lasciavano cadere la tensione del rapporto
fra le vichiane «eterne idee» e le «individuazioni storiche»
71
.
Era una posizione assolutamente corretta, poi, quanto alla correzio-
ne drastica delle letture in chiave ‘ficiniana’ del platonismo di Vico;
con l’indicazione invece, sia pure espressa in termini generali, di
ritrovare altrove le eredità dell’umanesimo, in «quello che era stato il
centro di tante discussioni fra ’300 e ’400: i miti pagani, e le grandi
seguirlo in questo giudizio) – Vico «ascolta tutte le voci che nell’Europa a lui contem-
poranea rifiutano le esasperazioni quantificatrici di Hobbes e di Spinoza» (ivi, p. 74).
69
Ivi, pp. 76-77. Sulla lettura di Vico da parte di Gramsci, probabilmente indiretta
e largamente debitrice verso Croce, cfr. I
D
.,
Vico in Gramsci
, in questo «Bollettino» VI
(1976), pp. 187-189. In questa nota Garin riporta per intero (p. 188) la nota pagina dei
Quaderni del carcere
nella quale trova posto anche l’espressione dell’«angoletto morto
della ‘storia’», dal quale però la «genialità» Vico gli aveva permesso di concepire «un
vasto modo»: però (ed è acuta considerazione propriamente ‘gramsciana’) «aiutato
dalla sua concezione unitaria e cosmopolita del cattolicismo».
70
Ivi, pp. 79-80 (il corsivo è mio). «Proprio all’opposto di quanto affermava de
Sanctis, Vico non solo non torna a posizioni neopitagoriche, o neoplatoniche di stam-
po ficiniano, ma se ne stacca definitivamente, e ne mostra anzi l’insidia per la nuova
fisica, che, invece di essere, come dovrebbe, ‘fisica sperimentale’, si immedesima con la
matematica […] Gli stessi accenti, che a volte emergono in lui, di una visione tardo-
rinascimentale e protoromantica di una vita cosmica, si collegano al rifiuto di un uni-
verso macchina di cui la vita, e il senso della vita, e i fini dell’uomo, e i valori,
sembrano del tutto esiliati» (ivi, p. 80).
71
Ivi, pp. 83-84.
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