GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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sa tra Garin e Piovani, laddove sembrerebbe attestata un’impenetrabilità
della disillusione di Garin ad ogni forma di ‘conforto’ teorico.
Quanto alla sorveglianza metodica dello studioso in materia di ‘tra-
dizione umanistico-civile’, essa era, opportunamente, assai marcata. È
da ritenere che questa sia stata la prima ragione per la quale il maestro
degli studi rinascimentali, ancor più quando si avvicinò maggiormente
a Vico, fu spontaneamente ostile a immettere questi in una linea del-
l’‘umanesimo linguistico’, o ‘linguistico-civile’, che dai suoi fautori (in
diverso modo Ernesto Grassi e Karl Otto Apel) era pensata eminente-
mente secondo un approccio ‘teoretico’, poco incline al paziente stu-
dio delle ‘eredità’ e ‘convergenze’. Anche se non va sottovalutata come
a quella fattuale ‘ostilità’ potesse contribuire la propensione di Garin a
privilegiare risolutamente (rispetto alle pagine ‘sistematiche’ redatte
agli inizi degli anni ’40) le scoperte sul piano epistemologico di Vico, a
lasciare pertanto sullo sfondo del suo pensiero fondamentali tratti di
una costitutiva preoccupazione etico-pedagogica, a non individuare (se
non per qualche cenno piuttosto vago) nelle tematiche del senso co-
mune, dello stesso linguaggio, le eredità dell’umanesimo in quanto
umanesimo civile,
Sprach-Humanismus
.
L’argomento non può essere eluso, richiamato com’è dal fatto che si
ha a che fare con le principali ricostruzioni presentate sulla materia da
studiosi insigni, e destinate a non incontrarsi, e ciò nonostante il fatto
che segnatamente Grassi condividesse la caratterizzazione che in lavori
magistrali Garin aveva dato della stagione umanistica in special modo
nei termini dell’elezione della ‘vita activa’, del mondo civile come il luogo
della piena espressione dell’umano: nel quale quindi – ribadiva Grassi –
la sua natura storica e comunicativa si realizzava negli ambiti, dal forte
significato filosofico, della giurisprudenza, della retorica, della filologia.
Quel destino di divergenza potrebbe allora presentare più di una
punta di paradossalità, se non ci soccorresse che, come sappiamo,
Garin aveva mutato non poco la sua visione dell’età umanistico-rina-
scimentale, in direzione della più forte valorizzazione delle tendenze
ermetiche, etc., e che aveva rinnovato e rafforzato il contrasto alla tra-
dizionale veduta della discontinuità tra il pensiero di quell’età e quello
della rivoluzione scientifica
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.
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Si è visto sopra come l’attenzione al nuovo metodo della ricerca scientifica fosse
ben presente anche prima in Garin. Oltre a pagine sopra richiamate, si ponga ad
esempio mente a quelle, assai belle e vibranti, dell’ «Epilogo» de
L’Umanesimo italia-
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