ENRICONUZZO
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contava poco stabilire effettive connessioni, «su una base storico-
reale», tra Vico e autori rinascimentali, come in primo luogo Cusano
87
.
In tutt’altra direzione andava la lezione di Garin, in primo luogo
una lezione di metodo improntata ad un senso vivissimo della indi-
ziale) come dottrina di una comprensione dell’essere, possibile in genere ed esplicantesi
nel linguaggio» (ivi, p. 186). Ovviamente interessa qui soltanto mettere a fuoco la distan-
za dagli interessi di Garin di una delle proposte più forti (ma sarebbero poi da citare
anche altri autori, come Michael Mooney, etc.) circa i rapporti tra Vico e le ‘tradizioni
umanistiche’. Per il resto, la dubbia persuasività di impostazioni e prospettazioni di Apel
non impedisce che si debba considerare fruttuoso continuare a lavorare attorno ad un
loro nucleo essenziale: la natura comunicativo-pragmatica del linguaggio. In proposito, e
con riferimento ad Apel, un interprete ha affermato anni fa che «la poetica vichiana non
è solo una gnoseologia, ma anche una teoria della comunicazione» (F. B
OTTURI
,
Poetica e
pragmatica. Per una rilettura della filosofia pratica vichiana
, in
Giambattista Vico nel suo
tempo e nel nostro
, a cura di M. Agrimi, Napoli, 1999, p. 250).
87
Le parole citate si leggono in un’ampia nota, densa di calibrati accenti critici, di
un esperto studioso di Cusano, G. S
ANTINELLO
,
Cusano e Vico: a proposito di una tesi
di K.O. Apel
, in questo «Bollettino» VII (1977), p. 143 (dove vengono rammentati i
documentati apporti di Garin in ordine alla questione dell’effettiva circolazione del-
l’opera di Cusano nella cultura italiana rinascimentale e primomoderna). Non manca-
no punti sui quali potrebbe essere utile raffrontare convergenze e divergenze di tesi di
Apel con quelle di Garin: come ad esempio sull’importante punto, che si è sopra
incontrato, dei caratteri e significati del sapere matematico per Vico, e della sua più
generale consapevolezza degli assetti e risultati della scienza moderna. Anche, ancor
più, per Apel «la metafisica crstiano-pitagorica della scienza come
mathesis universalis
[…] deve esser posta come base di partenza e sfondo comparativo anche della
gnoseologia e della filosofia del linguaggio di Giambattista Vico […]. Vico muove
dalla stessa idea d’una
mathesis universalis
divina che fu determinante per Cartesio».
Anche Apel subito tiene a sottolineare una considerevole «differenza fra il Vico e i veri
e propri metafisici della
mathesis universalis
»: da ritrovare in un «tratto umanistico-
scettico» che sta «in antitesi alla valutazione galileiana della matematica». «Quando il
Vico paragona la matematica con l’arte creativa divina, il paragone, contrariamente a
quanto avviene in Nicola Cusano, Keplero, Galileo, Leibniz, non include l’idea di una
‘rappresentazione’ della creazione divina fatta dal geometra umano […]. Invece che
un platonismo cristiano della ‘partecipazione’ alle idee divine, la teoria vichiana della
matematica sembra assolutamente presupporre in molti tratti un finzionalismo nomi-
nalistico». Ciò però è visto dall’interprete tedesco – a differenza di Garin, il quale, si è
detto, individua nella posizione vichiana l’elemento della consapevolezza dei limiti
della scienza moderna in una situazione di sua crisi epistemica – piuttosto nel segno
della mancanza: a Vico «manca […] quasi del tutto una più profonda comprensione
per quella
interpretatio naturae
tecnico-matematica che all’inizio dell’epoca moderna,
proprio sulla linea del suo principio gnoseologico fondamentale, trasforma le
speculazioni di un neopitagorismo o platonismo mistico in scienza esatta» (A
PEL
,
op.
cit.
, pp. 414-415.
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