FABRIZIO LOMONACO
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to ed immortal Filangieri» al «gusto del secolo», alle «massime della
sana morale e della vera politica» (ivi, pp. 13,14). E, già nel 1787, pro-
prio al
fratello
Filangieri, Pagano, sensibile al mutato clima storico-
politico, annunciava che
il Tempio cadeva, l’edifizio minacciava ruine. Una mano pietosa e crudele
insieme gli diè l’ultimo crollo per rifarlo. Non posso più dire colla carta
68
.
Per tutto ciò, nella biografia paganiana il distacco dalla monarchia
borbonica non fu solo espressione di una pacifica scelta strategico-po-
litica. Com’è stato opportunamente osservato, per lui e per la sua ge-
nerazione formatasi «nel clima genovesiano, filangeriano e galianeo»,
la «conversione ad un’idea di rivoluzione, che certamente non entrava
nei canoni ispiratori della sua milizia e attività intellettuale», costituì
un vero e proprio dramma
69
. Fu un’esperienza vissuta ad un profondo
livello etico e intellettuale, in grado di consolidare i contenuti e la dire-
zione della riflessione filosofica e politica. Estinta la fiducia nella poli-
tica della monarchia di diritto divino, rimaneva inalterata la fede nei
princìpi del
regolare
governo, nei valori di
libertà civile
e di educazione
pubblica alla giustizia e alle leggi che riemergevano commisurati e fun-
zionali ai nuovi ideali repubblicani. Avversi allo stato assoluto e ad un
modello di chiesa accentratrice, illuministi e riformatori, ex regalisti e
filogiansenisti si ritrovavano in una comune battaglia politica sotto la
nuova bandiera della rivoluzione. Il progetto riformatore non mutava
68
F. M. Pagano a G. Filangieri, s.d. [ma estate 1787] in Biblioteca del Museo civi-
co «G. Filangieri» di Napoli (mazzo 28, n. 31), poi in F. V
ENTURI
,
Illuministi italiani
,
t. V, cit., p. 935.
69
Così G. G
ALASSO
,
I giacobini meridionali
(1984), poi in
La filosofia in soccorso de’
governi…
, cit., p. 513. Il problema delle relazioni con la corte borbonica e il confronto
con la cultura illuministico-riformatrice sono stati al centro del dibattito storico-storio-
grafico. Se l’analisi di Venturi ha inteso mostrare la progressiva distanza di Pagano e del-
la «classe colta napoletana dalle speranze di un assolutismo riformatore» (
Francesco
Mario Pagano. Nota introduttiva
, cit., p. 825), di un’accentuata «volontà politica in dire-
zione decisamente giacobina, dedotta da positive conclusioni ideologiche» ha parlato
Raffaele Sirri a proposito del passaggio dalla prima alla seconda edizione dei
Saggi
(cfr.
R. S
IRRI
,
La cultura a Napoli nel Settecento,
in
Storia di Napoli
, vol. VIII, Napoli, 1971, p.
240). La più recente indagine di R. A
JELLO
(
I Saggi politici di Mario Pagano e il loro
tempo
, cit.) ha sottolineato, invece, gli atteggiamenti prudenziali e tendenzialmente dissi-
mulatori. Meno propenso ad accogliere l’idea di una «conversione» dal riformismo alla
rivoluzione è stato C
AMPAGNA
(
op. cit.
, pp. 154-156), richiamatosi al «gradualismo» di
una concezione dominata da una
lex continui
(ivi, p. 155).
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