ENRICONUZZO
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(e diversamente) una visibilità (e magari ‘assiomatizzazione’) forse non
maggiore, comunque diversa da quella derivante dall’operazione, filolo-
gicamente assai discutibile, di adottarle come titoli di capitoli, o di ‘para-
grafi’ introdotti scorporando il tessuto vivo di un discorso, una scrittura,
comunque altrimenti concepito
8
.
Ma su problemi di tal genere, che già sarebbero sufficienti ad atte-
stare l’esigenza di disporre di una ristampa anastatica anche degli scrit-
ti giuridici di Vico, basta rinviare alla preziosa sezione iniziale della
puntuale
Introduzione
di Fabrizio Lomonaco all’edizione ora realizza-
ta. Dopo un’efficace sintesi delle edizioni ottocentesche, egli perviene
ad esaminare criteri e carenze del «vero e proprio
pastiche
» prodotto
da Fausto Nicolini sul
Diritto universale
, retto da riduttivi princìpi
ecdotici di matrice neoidealistica correlati ad un preciso modulo in-
terpretativo, per cui «l’editore novecentesco ha dato consistenza filolo-
gica alla tesi di un Vico filosofo, ispirato da concetti direttivi progres-
sivi, scanditi in una serie di tappe e di fasi destinate ad una definitiva
sistemazione». Ebbene, gli effetti negativi di una pratica filologica
basata sul privilegiamento correttivo dell’«ultima volontà dell’autore»,
e sulla «contaminatio» e sul «rimaneggiamento», si sono estesi da una
trattazione fuorviante delle annotazioni e dei materiali autografi, agli
ammodernamenti di rimandi e citazioni, ad un sistematico rifacimento
della punteggiatura, ad una ridisposizione di capitoli e paragrafi, ad
una trasformazione dei corpi tipografici originali
9
.
Ebbene, su tutto l’arco dei problemi filologici che investono i testi
del
Diritto universale
si è mancato finora di strumenti quale questo
adesso disponibile che fossero di ausilio alla ricerca, e che incremen-
tassero una sensibilità critica allo studio ‘autonomizzante’ di quelli (an-
8
Mentre almeno su questo punto alcuni editori ottocenteschi, pur entro una ecdo-
tica assai incerta e arbitraria, avevano rispettato diversi usi vichiani dei corpi tipo-
grafici: nell’edizione del Sarchi del 1866, ad esempio, nella riproposizione a piè di pa-
gina del testo latino non alterando di massima l’interpunzione, riprendendo l’impiego
del corsivo e del tondo (sia pure rovesciandoli simmetricamente), lasciando al margine
della pagina i sintagmi indicativi dei contenuti del discorso (con un’uniformizzazione
dei caratteri maggiormente richiesta dalla destinazione dell’edizione).
9
«Tutt’altro che accidentali» – osserva giustamente Lomonaco sulla scorta di una
discussione in materia di ecdotica che, dopo qualche iniziale esitazione, si è venuta de-
cisamente orientando verso scelte ‘conservative’ – «nell’
usus scribendi
di Vico, epigra-
fista esperto dei significati culturali della dimensione retorico-visiva delle sue pagine a
stampa» (F. L
OMONACO
,
Introduzione
, pp. XV-XVIII).
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