DE UNIVERSI JURIS UNO PRINCIPIO ET FINE UNO
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che nell’affrontarli nella loro diversa identità) carente in sostanza in
tutta la tradizione interpretativa.
Se infatti si ritorna ad una rapidissima storia di questa si deve os-
servare che una lettura sostanzialmente ‘teleologica’ di quegli scritti, in
uno con una scarsa propensione ad avviare un organico esame del-
l’enorme materia in essi trattata, è riscontrabile anche nella più parte
delle letture compiute da prospettive metodiche e critiche diverse da
quelle di ispirazione neoidealistica. Attestano ciò già nell’anteguerra
anche le posizioni ermeneutiche più aperte, quelle di Capograssi e
Donati
10
. Lo confermano gli stessi lavori di Fassò, i quali non riusciva-
no a tenere assieme l’intento di ridefinire le scansioni dell’intera traiet-
10
Anche l’importante saggio sul
De uno
di Capograssi (poi ripubblicato nel vol. IV
delle
Opere
, Milano, 1959) è indubbiamente ascrivibile ad una ‘sensibilità’ per la quale
quel testo «è visto dinamicamente per quello che già aspira a essere e non è», dal mo-
mento che – una volta riconosciuti i grandi meriti dell’interpretazione di Capograssi,
va detto che il suo Vico «è, fondamentalmente, quello della
Scienza nuova
» (P.
P
IOVANI
,
Capograssi e Vico
, in questo «Bollettino» VI, 1976, pp. 195, 198; poi nel
volume
La filosofia nuova di Vico
, a cura di F. Tessitore, Napoli, Morano, 1990, pp.
326, 329). Su una linea analoga si attestava anche il lavoro critico di Benvenuto Dona-
ti. Nel volume del 1936, pur valutandosi come centrale l’apporto alla trattazione filo-
sofica del diritto in un pensatore considerato una «completa figura di filosofo civile»,
restava l’idea, il criterio di indagine, di un’intrinseca «incompiutezza» del corpo degli
scritti giuridici, tale da esigere la sua «integrazione»; criterio che non spingeva a consi-
derare l’opera, peraltro tanto complessa, stratificata, dinamica, per quello che già era:
«Il
Diritto Universale
sarebbe un’opera incompiuta, se non trovasse la sua integrazione
in una scienza della natura delle nazioni» (B. D
ONATI
,
Nuovi studi…cit.
, pp. 8, 10). In
fondo non ingiustamente Giovanni Gentile, nel riferire con ripetuti accenti laudativi –
in una
Nota
aggiunta allo scritto
La prima fase della filosofia vichiana
– della memoria
del Donati sopra richiamata, concludeva che le indicazioni in essa date circa un mero
estendersi e precisarsi del proposito che reggeva il
De uno
nella
Scienza nuova
non
erano tali da inficiare la tesi che i due testi «sono da considerare […] come due reda-
zioni diverse e successive della stessa opera». Al che aggiungeva che «l’accentuazione
dello speciale problema del diritto» nel
Diritto universale
andava ricondotto a «ragioni
estrinseche, come quelle de’ suoi interessi accademici», non dovendosi «conferire al
problema del diritto nella filosofia vichiana quell’importanza specifica che esso non
ha» (G.
G
ENTILE
,
Studi vichiani. Seconda edizione riveduta ed accresciuta
, Firenze,
1927, p. 99. Analoga la posizione di Croce circa le ragioni estrinseche per le quali Vico
«s’ingolfò nei dibattiti sul diritto naturale» (B. C
ROCE
,
La filosofia di G.B. Vico
, 1962 6 ,
Bari, 1980, p. 28). Già altrove ho avuto modo di notare che alla direttrice interpretati-
va neoidealistica diretta ad accorpare la meditazione vichiana in un’unica vicenda, dal
De uno
alle diverse stesure della
Scienza nuova
, si accompagnò negli anni ’30 un diffu-
so ‘oblio’ del
Diritto universale
anche nei lavori di Corsano, De Ruggiero, e poi nelle
pagine del ‘primo Garin’.
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