DE UNIVERSI JURIS UNO PRINCIPIO ET FINE UNO
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Allora l’elemento più rilevante, e probabilmente il più produttivo,
fu l’affiancarsi all’interesse per l’approccio eminentemente epistemo-
logico (nella chiave però tendenzialmente restrittiva del pur importan-
tissimo problema dei rapporti tra «verum-certum» e «verum-factum»)
di quello per un approccio ‘politico’ al
Diritto universale
(e soprattutto
al
De constantia
). Un affiancamento che trovava un’espressione elo-
quente nelle posizioni di Nicola Badaloni (si ricordi la contestazione
delle tesi di Fassò sulla dissociazione del «verum-certum» dal «verum-
factum» nella sua
Introduzione
all’edizione del 1974 delle
Opere giuri-
diche
); o lasciava il posto ad uno spostamento deciso verso una chiave
di lettura tutta ‘politica’ nelle posizioni di Giuseppe Giarrizzo, con
un’aperta invocazione davvero di un ‘nuovo corso’ degli studi sul
Diritto
universale
: di questo richiedendone – come si sa – uno studio appro-
fondito, idoneo a sviscerarne fonti (da ritenere attinte anche largamente
a concretissime esperienze, quali quella sociale e politica della storia na-
poletana), contenuti determinati, stratificazioni di materiali, significati,
anche rimettendo in gioco la periodizzazione delle sue parti
13
.
In effetti in quella stagione una serie di fruttuose indagini su statuto e funzioni del
diritto nella cultura e società napoletana dei tempi di Vico permise di intendere meglio
come possa risultare riduttiva già l’espressione – che pur comunemente si può utiliz-
zare – di ‘opere giuridiche’ per designare gli scritti del
Diritto universale
.
13
Ben nota la netta proposta critica di Giarrizzo di individuare nel 1723 un momen-
to di risoluta ‘crisi’, per la quale «la
Scienza Nuova
tendeva già a trasferire la grande sco-
perta del ‘diritto universale delle genti’ da presupposto e sostegno d’una politica riforma-
trice a fondamento conservatore d’una ‘pratica’ chiamata a ‘soccorrere alla prudenza
umana’», così che «la prospettiva apologetica» sarebbe divenuta «sempre più eminente
nelle
Scienze nuove
» (G. G
IARRIZZO
,
La politica di Vico
, scritto del 1968 che qui cito da
I
D
.,
Vico la politica e la storia
, Napoli, 1981, pp. 55-56 e 109). Giarrizzo osservava giusta-
mente che «purtroppo, per l’ingiustificata svalutazione del
Diritto Universale
non s’è an-
cora tentato di chiarire i rapporti che intercorrono fra le parti di esso», chiarificazione
che sola «potrà consentire conclusioni articolate sull’evoluzione del pensiero politico vi-
chiano»; e parlava dell’«impressione» che il
De uno
«appartenga, per lo meno nella
redazione attuale, ad una fase di pensiero successiva a quella del
De Constantia
» (ivi, pp.
105, 119, 115). È un’ipotesi, quest’ultima, che si presta a obiezioni, come la tesi interpre-
tativa generale che si è richiamata, ma che ermeneuticamente messa alla prova può risul-
tare fruttuosa, invitando comunque a lavorare assieme su tutte le parti dell’opera giuri-
dica (non si dimentichi che sono diversi i riferimenti al
De constantia
nel
De uno
). Sulla
materia della ‘filosofia politica’ o ‘pratica’ di Vico ho presentato in diverse occasioni mie
posizioni: escludendo che la costitutiva ‘politicità’ della meditazione di Vico consenta di
scorgere in lui la figura di un ‘riformatore’; ma convenendo che in essa è riscontrabile
una significativa presenza di ‘politici’ accenti antiparticolaristici, antibaronali (con sullo
sfondo, quindi, pure la ‘fonte’ dell’esperienza del mondo agrario meridionale).