MARCO VENEZIANI
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del
De uno
sia del
De constantia jurisprudentis
, da collocare crono-
logicamente prima delle
Notae in duos libros
, fra 1721 e 1722, testo
fondamentale per uno sguardo d’insieme sugli scritti vichiani dedica-
ti alla storia del diritto e alle antichità romane, in particolare per chi
voglia tradurli nella nostra lingua. E vi troviamo il manoscritto delle
numerosissime «Emendationes» stilate da Vico in vista delle
Notae
,
anch’esse autonomo strato evolutivo che dovrà essere rifuso adegua-
tamente nell’edizione critica.
Il tutto è impreziosito da un’accurata
Introduzione
, che fa il punto
sulla fortuna, o per meglio dire sulla sfortuna dell’opera presso gli
studiosi, sui limiti della filologia ecdotica che se ne occupò fra Otto-
cento e Novecento, nonché sul significato storico-filosofico dello scrit-
to che, al di là del suo prevalente impianto metodologico, l’autore si
preoccupò di rendere il più possibile autonomo – nonostante i nume-
rosissimi rinvii al «Liber alter» e nonostante le ovvie connessioni te-
matiche – dal
De constantia jurisprudentis
di pochi mesi successivo. È
vero che alla prima lettura l’opera colpisce innanzitutto per la com-
plessità dell’apparato teorico che viene richiamato e messo in campo:
dal neoplatonico «nosse, velle, posse» come cifra – in se stessa compli-
cata – dell’infinito divino e del finito umano, al diritto naturale «prius»
e «posterius» degli stoici; dalle verità universali della ragione alle cer-
tezze empiriche dell’autorità e della tradizione; dal diritto delle genti
maggiori basato sulla violenza privata, a quello civile della forza pub-
blica; dalle leggi delle antiche città-stato improntate all’equità civile,
allo
jus
tutto equità naturale del tardo Impero romano. Un approccio
di così ampio respiro vale da sé solo a illustrare tanto l’ambizione del
progetto scientifico di Vico, suggerita nel titolo stesso dell’opera,
quanto la profondità e maturità dello sguardo storico, la ricchezza del
repertorio di argomenti eruditi o filosofici, anche radicali, che l’autore
considera pertinenti al tema che si è proposto. Ancora nella bella
In-
troduzione
di Fabrizio Lomonaco, l’analisi attenta delle correzioni,
delle postille e delle note che Vico ci ha lasciato si risolve in un chiaro
invito – per chi voglia studiarle criticamente – a esaminare il problema
della loro stratificazione cronologica in modo unitario, su tutto l’arco
di tempo che va dal 1720 al 1722.
Alcune ragioni di plauso per l’iniziativa editoriale sono estrinseche:
quest’opera vichiana affianca nell’uso del latino giuridico quella di
Gianvincenzo Gravina sulle origini del diritto civile, stampata nel
1713, e riedita anch’essa in bella riproduzione anastatica nella