MARCO VENEZIANI
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storia del diritto e in generale per comprendere il formarsi delle nazioni
dal punto di vista del nostro autore.
Fra le pagine capitali della
Scienza nuova
definitiva, e non a caso
anche fra le più belle e intense che Vico abbia scritto, v’è nel libro
secondo un intero capitolo dedicato alla «metafisica poetica». Il capi-
tolo quinto è brevissimo, di sette pagine in tutto, ma in esso, in pochi
capoversi, viene rovesciata un’illustre tradizione interpretativa risalente
al
Crizia
platonico e ad Aristotele, ancora condivisa dai più autorevoli
scrittori cinquecenteschi della ‘ragion poetica’ – Iacopo Mazzoni,
Francesco Patrizi, lo Scaligero, il Castelvetro – che alla poesia sapeva
solo attribuire origini erudite o dotte. Il buonsenso antico sosteneva
che ‘natura non facit saltus’, e che – secondo un’ovvia, naturale evolu-
zione – prima gli uomini provvedono al necessario, cioè alle esigenze
basilari del corpo, poi pensano a quelle dello spirito e imparano da ul-
timo, per gratuito diletto, a frequentare la Memoria e le Muse.
Quello di un ordine naturale del corso storico è un presupposto che
il nostro filosofo condivide in larga misura, e che – nella prima
Scienza
nuova
soprattutto – ha ispirato in molti celebri passi i bellissimi
climax
da lui composti. Ma sul punto della poesia la sua conclusione non è la
stessa. Sono ormai alle spalle le perplessità con cui nel
De uno
si occu-
pava di storia della poesia, di caratteri poetici e di sapienza eroica. Al
contrario, egli obietta, l’espressione poetica non è soltanto comporre di-
stici e rime in forma di epopea, tragedia o commedia, ma corrisponde in
noi a qualcosa di più originario, che a volte nasce proprio dalla mancan-
za di arte, dal «difetto d’umano raziocinio», presentandosi in talune
circostanze topiche come la sola forma di pensiero o di comunicazione
disponibile con naturale immediatezza. Ad esempio nelle nostre reazioni
di rabbia o di spavento, oppure nei momenti davvero aurorali che vive
un bambino appena nato, o che esperiscono gli antichi gentili nell’età
dei «giganti» e dell’erramento ferino, «stupidi, insensati, ed orribili be-
stioni». Sono aspetti noti del pensiero di Vico.
La chiave di volta dell’intero cambiamento di prospettiva è l’iden-
tificazione, cui egli giunge in queste pagine, di poesia e metafisica: nel-
la prospettiva storico-genetica, la poesia non è che una delle «guise»
della metafisica, il suo modo di presentarsi più spontaneo ed elemen-
tare. A sua volta, per Vico l’abito metafisico non è dissociabile in alcun
modo dall’essenza umana stessa, e perciò la conclusione del ragiona-
mento è obbligata: tutti i primi uomini furono di necessità poeti e fu-
rono naturalmente creatori, secondo l’etimologia stessa di ‘poësis’.