DE UNIVERSI JURIS UNO PRINCIPIO ET FINE UNO
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sale
: facoltà di ragione corrotta dal peccato originale, «nosse, velle,
posse finitum quod tendat ad infinitum». Solo dieci anni prima pe-
raltro, nel
De Italorum sapientia
, il filosofo aveva attribuito alla facoltà
dell’ingegno, «propria hominis natura», il compito non poco impe-
gnativo di collocarci ben al di sopra dei bruti nell’ordine del creato.
Che cosa resta di questi mutamenti e svolte del pensiero, di tutto
questo ‘chiaroscuro’ nei ritratti recenti che si richiamano al nuovo corso
degli studi vichiani? Crediamo ancora troppo poco. A un esame retro-
spettivo, appare evidente che nel corso degli anni la riflessione di Vico
ha finito per ricontestualizzare il problema della natura umana, traspor-
tandolo dall’iniziale impostazione psicologica, concentrata su particolari
facoltà della mente (l’ingegno, il ragionare), a una prospettiva di schietta
antropologia e sociologia culturale, in cui tutti i saperi settoriali non solo
sono interconnessi, ma per oggettivarsi e divenire istituzioni si raccorda-
no nella riflessione metafisica, ‘incominciano’ dalla metafisica non meno
che dalla poesia, secondo una concezione circolare che peraltro si trova
già affermata nel
De studiorum ratione
, anche se le sue implicazioni non
venivano tutte sviluppate.
Per tornare alle pagine da cui siamo partiti, è bene precisare che,
se la scelta di far partire il mondo umano dall’introspezione metafisi-
ca colloca il filosofo di diritto fra i ragni-moderni, secondo la meta-
fora proposta da Marc Fumaroli, i passi ulteriori trovano subito le vie
del mondo sensibile e dell’esperienza, e lo avvicinano piuttosto alle
api o alle formiche, confermando anche per questa via che il sincre-
tismo filosofico giovanile costituisce uno dei motivi più duraturi della
speculazione vichiana. Infatti, come ci mostra l’osservazione succes-
siva, l’introspezione metafisica non ha per Vico nulla di mistico, a
differenza di altri orientamenti platonici contemporanei, nati e rac-
chiusi nei «chiostri», ma è un deliberare razionale con se stessi, che
risulta tanto più produttivo in quanto – ecco la precisazione – «que-
sto Mondo di Nazioni egli certamente è stato fatto dagli uomini»,
onde – secondo il criterio del
verum-factum
– nelle stesse modifica-
zioni della mente umana si possono e si devono ritrovare i suoi ele-
menti costitutivi. Questa affermazione, tipicamente vichiana, natural-
mente non contraddice la nozione di eterogenesi dei fini che il filo-
sofo, anche se non adopera mai l’espressione, ha ben presente. Ma
invece segnala l’aprirsi, fra i progetti parziali e limitati degli uomini e
quello di più largo respiro che è in atto nel tempo, cioè il disegno
della Provvidenza, di un ampio spazio teorico-pratico che proprio la
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