GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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accidentalmente, dunque, il pensiero di Cartesio fu accolto in Italia co-
me di casa proprio là dove era viva la grande eredità del Rinascimen-
to», cioè tra galileiani e continuatori della tradizione di Bruno e Cam-
panella. Giustamente affermava Garin che «l’opera del Descartes, an-
che indipendentemente dalle sue precise strutture, appariva continua-
trice di un moto di umanizzazione e mondanizzazione del sapere», e
tale da fare assurgere il suo autore a simbolo di una ricerca libera e
spregiudicata, nel quale potevano riconoscersi tutti i ‘cartesiani d’Ita-
lia’, pur nella varietà, anche confusa, degli interessi e orientamenti
seguiti
17
. L’efficace sintesi che seguiva in alcune pagine dedicate a tali
cartesiani (tra i quali Gregorio Caloprese, Francesco Maria Spinelli,
Paolo Mattia Doria) si basava su di una serie di dirette letture che ve-
nivano da un interesse lontano, già attivo negli anni ’30 come sappia-
mo, e che negli anni seguenti si sarebbe espresso in una serie di pun-
tuali interventi minuti e di preziose proposte di indagine. Su di essi si
verrà tra poco. Per il momento occorre venire al terzo punto, a Vico.
L’analisi condotta da Garin in queste pagine sul pensatore napoletano
può essere appuntata sui seguenti momenti: il rilievo della piena ‘con-
sapevolezza’ della posta in gioco, per così dire, nel confronto con
Descartes, e in genere con la scienza moderna (un punto che resterà fer-
missimo, e sarà alla base dell’immissione sicura del pensatore napoletano
nel suo tempo storico, e quindi anche alla radice delle polemiche sui
‘contemporanei’, sull’‘isolamento’ di Vico); la valutazione positiva della
critica agli esiti meccanicistici nei quali aveva finito con il prendere il
sopravvento una direttrice del pensiero cartesiano; il giudizio negativo sul
movimento di perdita della ‘connessione’ tra uomo, Dio, natura che Vico
aveva realizzato, e non soltanto nei confronti della grande filosofia rinasci-
mentale, ma anche della ‘più profonda istanza cartesiana’ che, si è visto, di
tale filosofia raccoglieva l’esigenza ‘connettiva’ e ‘partecipativa’.
È nella cifra della chiara ‘consapevolezza’ del pensiero, della situa-
zione problematica e teorica che Vico ha di fronte che si deve leggere
l’affermazione che questi ‘si fa innanzi’ come ‘il più grande dei carte-
siani d’Italia’: un’affermazione che rivela un certo sapore neoideali-
stico, segnatamente crociano, nel procedimento concettuale, e anche
stilistico, di tipo dialettico
18
.
17
Ivi, pp. 396-397.
18
Vico «si deve dir cartesiano per ragioni ben più profonde delle reminiscenze di
Descartes nella sua prima orazione del 1699, o dell’esaltazione del ‘grande Cartesio’
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