ria da tenere presente appunto affrontando il compito fascinoso di
ristudiare in Vico, attraverso Vico, la vicenda della rimeditazione mo-
derna di ‘figure mitiche mediterranee’ (da Nettuno o dalla stessa Me-
dusa a Pelasgo, Dedalo, Teseo, e così via).
Pure tali compiti, a volere affrontarli, rinviano in notevole misura a
quelli più grossi, comunque largamente preliminari, ai quali invita il
tema ‘Vico-Mediterraneo’. Intendo in primo luogo un lavoro di anali-
tica ricostruzione sistematica di tutta la vicenda della meditazione
vichiana, e soprattutto degli esiti della fondazione di un’inedita globa-
le storia della civiltà umana: una ricostruzione centrata, attraverso la
cruciale angolazione ‘mediterranea’, sui caratteri e la storia (e quindi
anche la ‘geografia’) delle nazioni.
Quella fondazione di una nuova storia totale dell’umanità spicca come
un capitolo essenziale, del tutto peculiare, in una stagione della cultura
europea, tra fine Seicento e Settecento, nella quale si diedero prove
ENRICO NUZZO
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meno consuete: come nella ‘seminale’ opera, che dovrebbe essere superfluo richiamare,
di F. B
RAUDEL
,
La Mediterranée et le monde méditerranéen à l’époque de Philippe II
,
Paris, 1949, o in più recenti lavori come quello (diversamente orientato) di P. H
ORDEN
-
N. P
URCELL
,
The Corrupting Sea. A Study of Mediterranean History
, Oxford, 2000
(l’espressione «storia dell’idea mediterranea» ricorre nel titolo di un capitolo del recen-
te libro di S. B
ONO
,
Il Mediterraneo da Lepanto a Barcellona
, Perugia, 1999).
Le pagine che seguono provano a rispondere fattualmente al quesito critico del se
e come Vico possa essere inserito in una storia della riflessione sul Mediterraneo: sul
come in effetti possa essere lecitamente richiamato anche a proposito della genesi
(ovviamente non filologica) della veduta, propriamente braudeliana, del Mediterraneo
come uno ‘spazio-movimento’, uno spazio unito, istituito, dai popoli del mare (sulla
base di un’omogeneità geografico-climatica). Vico – si vedrà tra breve – offre (sulla
base di una sorta di ‘antropologia del mare’) la veduta inedita di questo mare, e delle
terre che danno su di esso, come di uno spazio alle origini, per lungo tempo, totalmen-
te deserto, un luogo assolutamente non umano, e quindi in un certo modo istituito dai
primi ‘popoli del mare’ o dai popoli che tali divengono in un certo momento del loro
processo di sviluppo. Per non dire poi di altre problematiche, come di quella stessa
delle ‘figure mitiche mediterranee’ oggetto di studio della matura indagine storico-
archeologica, filologica, antropologica, etc. Non bisognò attendere più tardi sviluppi di
un’ormai rigorosa ricerca filologica e archeologica per ripensare e ribaltare tradizioni
pertinenti a figure quali quelle di Orfeo, Dedalo, etc. «Il Dedalo storico non è mai esi-
stito. Questa lucida constatazione, con la quale però poco si chiarisce e dalla quale
nulla si ricava, è il risultato di più di cento anni di ricerca filologica e archeologica» (D.
W
ILLERS
,
Dedalo
, nella einaudiana grande opera su
I Greci. Storia Cultura Arte Società,
vol. II/1, p. 1295). Magari con eccessiva fiducia nei risultati della sua spregiudicata
ermeneutica, il filosofo napoletano era presto pervenuto alla stessa premessa. Sulla trat-
tazione vichiana di figure mitiche marcatamente ‘mediterranee’, tra le quali appunto
Dedalo, Teseo, Arianna, gli Argonauti, ecc., si verrà più avanti.
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