meditazione del pensatore napoletano in materia di ‘storia e geografia
del Mediterraneo’; e le principali tradizioni, forme di discorso, in rela-
zione a ciò da lui tenute presenti, adottate, utilizzate, ripensate (seguen-
do ad esempio approcci di ordine ‘storico-teologico’, ‘storico-epistemi-
co’, ‘materiale-geografico’, ‘ideologico’).
Il più grosso nodo, teorico oltre che storiografico, che l’indagine in
proposito incontra, solleva, probabilmente attiene alle forme di ‘causa-
lità’ (e ai rispettivi ruoli) attive nella storia umana pensata da Vico: ed
in particolare quelle ‘temporali’, ‘storiche’ (a loro volta ‘strutturali’, o
più o meno ‘contingenti’, ma anche, ovviamente, di natura ‘teologica’),
e quelle ‘fisiche’, ‘spaziali’ (‘naturali-climatiche’, più ristrettamente
‘geografiche’, etc.).
Infatti il tema del Mediterraneo, rinviando a quello più generale di
una storia globale della civiltà umana in Vico (e nel tempo suo), rinvia
anche a quello – come sopra si è accennato – di una storia della geogra-
ENRICO NUZZO
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La considerazione vichiana della «civiltà», della «vita civile», nel quadro della sua
attenzione alla ‘politicità’ di tutte le vicende umane, attende ancora l’adeguata tratta-
zione organica che merita. E per un’opportuna indagine lessicografica relativa alla
costellazione terminologica, e concettuale, che ha a che fare con la ‘civiltà’, comincio
con il segnalare l’uso proprio del lemma «civiltà» nella
Sinopsi del Diritto universale
, in
OG
, p. 9: «restando ivi tutte le arti della civiltà […]».
Sulla concezione di Vico della «civiltà» si consideri che per lui è già una «mente
umana civile» la primissima mente umana (rinata all’umanità), la quale elabora poetica-
mente la «metafora, che fu la prima a concepirsi […] e la più sublime di quante se ne
formarono appresso: che ‘l mondo e tutta la natura è un gran corpo intelligente». Allora
si formarono le «false religioni» tramite le quali gli uomini «dalla loro bestiale libertà
[…] si ricevettero a vita civile». E nella conquista di quelle pur false religioni, sulla base
dell’esercizio di una «
sapienza civile
», si «produsse la nobiltà con queste
belle arti civili
che adornano tutta l’umanità migliore, le quali sono: vergogna di sé medesimi […],
castità de’ matrimoni […], pietà verso i difonti […], industria di coltivare i campi […],
fortezza di difendergli da’ ladroni[…], generosità e giustizia di ricevere gl’ignoranti ed
infelici». Dove l’ultima soltanto di tali «arti civili» presiede ad un articolarsi di relazioni
umane sociali, tra «ottimi» e «famoli», «nobili» e «plebei», dai quali poi sorge una com-
plessa vera e propria «vita civile» propria delle «città», quando «sopra i domìni sovrani
de’ primi padri sursero le prime repubbliche e, con essi, la civiltà» (la quale nel suo senso
più lato pertanto per essere tale non ha a che fare necessariamente con la
civitas
).
Se nodo imprescindibile, conquista essenziale del pensiero vichiano è la ridefinizio-
ne in termini dinamici della natura umana, a conquistare processualmente la quale con-
corrono di necessità, e benemeritamente, pure le sue espressioni più contratte ed ele-
mentari, l’‘umanità’ di tali forme (e anche il loro concorrere alla ‘civiltà’) di principio
non è sottoponibile ad un giudizio di esclusione sulla scorta dei caratteri leggibili nel
telos
di tale natura, in una sua piena compiutezza (mai peraltro
de facto
raggiungibile),
o in una gradazione già alta da essa conquistata. Non mi pare quindi che possa essere
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