fia delle civiltà, delle culture, costituenti quella civiltà
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: una storia a cui
collabora significativamente una considerazione delle condizioni ‘geo-
grafiche’ del vivere umano (sia nella forma generale dei climi, sia nella
forma più determinata dei siti particolari nei quali si trovano a vivere e
svilupparsi le singole nazioni).
In tal modo in ultimo è chiamata in gioco la questione dei modi, ma
anche dei ‘limiti’, dell’impresa di storicizzazione della natura umana
compiuta dal pensatore napoletano. Un’impresa imperiosa, ma anche
aperta a diverse prospettive e forme di adozione, introduzione, ripen-
samento, di importanti materiali, e relative concezioni, pertinenti alle
ragioni ‘materiali-spaziali’, ‘geografiche’, dei processi di caratterizzazio-
ne e sviluppo dell’umano: prospettive che spaziano da un’inedita rico-
struzione associante elementi ‘culturali’, ‘mitologici’, forme psicologi-
che, contesti e fenomeni ‘materiali’
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, alla riproposizione di ben più tra-
SPAZI E TEMPI DEL MEDITERRANEO NELLA STORIA VICHIANA DELLA CIVILTÀ
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sollevata la questione della qualifica di umanità (e tanto più poi possa essere questa
negata) in ordine alla condizione originaria dello stato delle famiglie, dei polifemi pii,
viventi nella solitudine delle caverne, assoluti sovrani dei propri figli e poi dei «famo-
li». Si veda invece quanto sostiene – in un lavoro che ha pure diversi meriti – M. P
IA
,
I
fondatori delle nazioni,
Pisa, 2003: «I polifemi vivevano nelle caverne e […] avevano
auspici, religioni ma non per questo si parla di umanità. Infatti umanità significa giusta
statura, […] significa essenzialmente società e non selvatichezza […] Questo stato dei
primi padri di famiglia, come umanità e società, si rovescia e si contraddice, nella con-
dizione, solitaria e ciclopica, dei giganti pii». Solo «la fondazione delle città e delle
nazioni», allora, «viene invece a determinare non solo l’articolazione della società […],
ma della stessa umanità» (pp. 50-51). Nelle citazioni precedenti ho scelto di fermarmi
su alcuni dei numerosi luoghi della prima versione della
Scienza nuova
che, per restare
ad essa, potrebbero in proposito essere richiamati: cfr.
Sn25
, §§ 111, 25, 120-122, 396,
pp. 1040, 992, 1044-1045, 1170 (il corsivo è mio, nel senso che in alcuni casi ho reite-
rato gli impieghi vichiani del corsivo, accompagnati e rafforzati dal maiuscolato –
«
Sapienza Civile
», «
belle arti Civili
» – che si leggono nell’edizione originaria: p. 87).
Sulla concezione vichiana della profonda politicità di tutte le vicende umane mi vedo
indotto a rinviare ad altre mie pagine:
Tra religione e prudenza. La ‘filosofia pratica’ di
Giambattista Vico
, Roma, 2007, a partire dall’
Introduzione
, pp. XVIII sgg.
Un’indagine organica su nozioni e termini (a partire da quelli latini di «humanitas»,
«cultus», etc.) che Vico adotta, ripensa, riformula, in ordine alla costellazione concet-
tuale della ‘civiltà’, della «civilisation», risulterebbe anche un contributo significativo
alla storia di tale costellazione: inserendosi in una linea di riflessione critica che conta
– come è ben noto – voci assai importanti (almeno da quelle novecentesche di Febvre
e Braudel, Tenenti, Starobinski, etc.) e svariati recenti contributi utili (si pensi in Italia
a quelli di Pietro Rossi) su cui non è certo il caso di soffermarsi in questa sede.
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In una lettura assieme dell’‘arcaico’ e dell’antichità classica che più volte fa veni-
re alla mente innovative ‘scuole’ della cultura contemporanea (penso ad esempio a
quella francese nata dalla ‘psicologia storica’ di Meyerson).
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