pensosamente meditava segnatamente l’‘ultimo’ Vico. In verità la teo-
ria di Vico del ricorso, fin troppo celebre, peraltro si rafforzò tardiva-
mente nella traiettoria della sua riflessione, e non ne decise, a mio avvi-
so, le conquiste più importanti. Comunque, pur tenendo a mente le
ingenti difficoltà incontrate da Vico nel ‘replicare’ il corso delle cose
umane per quanto concerneva la «barbarie seconda», ed in particolare
i «tempi divini»
12
, resta che il quadro complessivo delle scansioni della
civiltà umana postdiluviana implica che l’interprete il quale ne segua gli
sviluppi mettendo a fuoco in primo piano terre, genti, nazioni gravitan-
ti sul mare mediterraneo debba seguirle lungo le sei età, epoche, della
canonica suddivisione del «corso» e «ricorso» delle «cose umane»: le
ultime tre essendo quelle seguite alle invasioni barbariche, con i ritor-
nati costumi delle età divina ed eroica, e quella dei riconquistati e ulte-
riormente sviluppati tempi umani.
Volendo anticipare un semplice schema tematico disegnato a fini
ermeneutici, si può dire che gli spazi del Mediterraneo, e più in genere
le esperienze del mare, secondo la meditazione vichiana abbiano cono-
sciuto dunque sei grandi tempi epocali, meritevoli di essere tutti segui-
ti in un’organica ricostruzione storica del complesso insieme di vedute
del pensatore napoletano sulla materia, un insieme peraltro dinamico e
scarsamente o incompiutamente sistematico,
Il primo tempo epocale è quello nel quale il mare mediterraneo non
soltanto non fu navigato, ma neppure «tentato»
13
, da parte di gruppi di
uomini, per lo più assai dispersi, i quali si erano inizialmente stanziati
sui monti, andavano conseguendo appena le prime forme di elementa-
SPAZI E TEMPI DEL MEDITERRANEO NELLA STORIA VICHIANA DELLA CIVILTÀ
19
12
Su tali difficoltà non è assolutamente qui il caso di inoltrarsi. Basterà dire che sullo
scenario occidentale (al quale si affiancavano altri più remoti scenari soltanto con il tempo
venuti alla conoscenza di questo) la ricaduta nella barbarie non poteva certo avere con-
dotto a riprodurre le medesime sequenze della riconquista dell’umanità da parte dei
bestioni fermatisi ai «cenni» di Giove (con lo stato delle famiglie dei polifemi pii, etc.): se
non altro per la ragione grossissima che la religione cristiana non aveva avuto soluzioni di
continuità. Sia pure con modalità peculiari, tuttavia per Vico erano ritornati «i tempi vera-
mente divini», addirittura con il ritorno, «‘n tutti que’ secoli infelici», a una «lingua muta»
con cui le nazioni potessero comunicare, alla «scrittura geroglifica», ai «giudizi divini», ai
«primi asili del mondo antico», fondamento dei «feudi», e così via (
Sn44
, §§1048, 1051,
1052, 1056, pp. 934-937). Restava però a detta dello stesso autore il fatto dell’enorme dif-
ficoltà di portare luce sulla «barbarie seconda»: «alla quale, come ad innumerabili altre
cose, noi in quest’opera facciam luce con le antichità della prima (tanto ci sono riusciti più
oscuri de’ tempi della barbarie prima questi della seconda)» (ivi, 1074, pp. 946).
13
Come detta una pagina, già citata, di
Sn25
, § 237, p. 1095.
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