ENRICONUZZO
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il rispetto per l’insegnamento dei classici», ancor più definiva e preci-
sava il «rispetto per l’uomo e il senso dell’umano» nella comprensione
delle autonome forme di vita dell’umanità fanciulla, delle sue peculiari
‘logiche’ e ‘fisiche’, quindi di ciò che precede l’evoluto, il civilizzato, il
razionale, nelle forme del primitivo, del mitico, del poetico
34
.
In proposito Garin poneva opportunamente in guardia dal cadere
nell’equivoco di identificare il «mondo ‘poetico’» di cui discorreva
Vico con la «sfera dell’estetica, dell’arte», che, in quanto tale, ha a che
fare con la matura ragione: facendo delle età fanciulle il mondo di un
«bello» al quale sarebbe seguito quello del «vero»
35
.
Viceversa appare discutibile la movenza interpretativa di non ricon-
durre ad una cifra unitaria la posizione di Vico sul fenomeno religioso,
ritenuta oscillante tra un’assai ardita, radicale critica di esso, di signifi-
cato duramente illuministico, ed esigenze e preoccupazioni arcaiche e
conservatrici
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: come se l’autentico disegno di costruire una risposta
fermamente ortodossa, ma non ossequiosamente pia, ai più radicali
‘moderni’ che impugnavano verità ed utilità dei fenomeni religiosi,
non potesse, e dovesse, passare per l’adozione di tesi e argomentazioni
pure insidiosamente assai ardite (ma non certo al punto di contempla-
re la scomparsa del fatto religioso). Ma ciò, si sa, è materia ancora tra
le più discusse e controverse nell’ambito degli studi vichiani: sulla
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Ivi, p. 275.
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«Proprio perché nelle età fanciulle tutto è ‘poesia’, questa ‘poesia’, che è la di-
mensione unica e totale della mente umana, non è da identificarsi con la poesia pro-
dotta nelle età mature […] Perciò non può dirsi che la fanciullezza del mondo viva
nella bellezza (poesia), e l’età matura nella verità (scienza); il bello è un valore di un
mondo in cui alberga anche il vero: bello e vero sono le categorie di una compiuta
umanità» (ivi, p. 276). Era una giusta posizione, efficace in ispecie nei confronti di ve-
dute di matrice neoidealistica, crociana; anche se non mancava qualche non persuasivo
cenno ai «toni ‘romantici’ di tante pagine vichiane».
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«Sono continue le oscillazioni fra la tesi più ardita di una riduzione del fatto reli-
gioso a un aspetto della mentalità primitiva destinato a scomparire con l’avvento della
ragione, e il bisogno, alimentato in parte da elementi prudenziali, di distinguere fra
religioni ‘favolose’ e religioni ‘vere’. Da un lato si affaccia in Vico una critica radicale
del fenomeno religioso, che lo avvicina singolarmente agli illuministi; dall’altro si ma-
nifestano con toni molto arcaici preoccupazioni conservatrici» (ivi, p. 277). Era una
posizione sicuramente influenzata da risultati critici della storiografia neoidealistica (in
particolare dagli esiti del più ‘maturo’ giudizio crociano sulla questione); ma probabil-
mente non esente anche da modi di un più generale operare dell’indagine proprio di
quella, con la tendenza a dissociare dall’interno un’ispirazione in suoi momenti più o
meno dialetticamente opposti.
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