quali quelle ‘poligenetiche’. Assumere una tale direttrice (della almeno
originaria monogenesi delle razze umane) significava ovviamente in pri-
mo luogo adottare la tradizione della «storia sacra», con la sua ‘geogra-
fia’ oltre che ‘cronologia del sacro’ (a partire dalla propagazione delle
discendenze di Noè dalle terre caucasiche a cui aveva approdato la sua
arca)
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. Da tale tradizione peraltro non si allontanava la più parte della
SPAZI E TEMPI DEL MEDITERRANEO NELLA STORIA VICHIANA DELLA CIVILTÀ
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Si veda, su questo ultimo punto, quanto affermato nel
Diritto universale
a propo-
sito degli Sciti, una
gens
sulla quale occorrerà tornare tra breve. «Schythae propiores
Armeniae, in uno e cuius montibus arca, subsidentibus Diluvii aquis, summo haesit»
(
De const.
, II, XVII [17], p. 505). All’antica e consolidata tradizione secondo la quale
l’arca si sarebbe depositata su uno dei più alti monti dell’Armenia (comunemente iden-
tificato con il monte Ararat), Vico poteva attingere da una serie di svariate fonti: da
quelle cartografiche, come in edizioni moderne della
Geographia
tolemaica (si vedano
ad es. le carte dell’Asia delll’ed. del 1540 curata da Sebastianus Münster) fino a tratta-
ti dettagliatissimi, quali quello di Athanasius Kircher, esemplare autore di teorie pro-
prie della più astrusa «boria dei dotti», come Vico l’avrebbe in sostanza qualificato
nella
Scienza nuova
del 1730, ma i cui testi ‘doveva’ in larga misura tenere presenti. In
questo caso è molto plausibile che conoscesse la robusta opera
Arca Noë, in tres libros
digesta
, Amstelodami, Ioannes Ianssonius, 1675, che già a ridosso dell’Armenia pone-
va la stessa costruzione dell’arca; oltre che localizzarvi la sede del paradiso terrestre (su
quest’ultimo punto si veda il volume fascinoso – e ricco di materiali utili ad una ‘storia
simbolica’ dell’Oriente – di A. S
CAFI
,
Il paradiso in terra. Mappe del giardino dell’Eden
,
Milano, 2007, pp. 263 sgg., sul ‘paradiso in Armenia’). Sicuramente Vico conobbe, e
citò (senza i giudizi ‘irrispettosi’ di un Giannone), la
Geographia sacra
di Samuel
Bochart, nella quale tra l’altro si disquisiva dettagliatamente e disinvoltamente della
fabbricazione dell’arca, dei luoghi nei quali essa fu costruita e poi si depositò, etc.: cfr.
S. B
OCHART
,
Geographia sacra, seu Phaleg et Canaan…
, Lugduni Batavorum-Trajecti ad
Rhenum, apud C. Boutesteyn et al., 1707 (IV ed. che seguiva la III pubblicata nel
1692), specie
Phaleg
, l. I, capp. III sgg. Naturalmente la ‘geografia della civiltà’ elabora-
ta da Vico era strutturalmente diversa da quella di autori come Samuel Bochart,
Gerhard Johann Voss o Daniel Huet. E ciò perché, con la sua impostazione ‘genetica’
e ‘poligenetica culturale’ (se così si può dire), e la separazione di massima tra ‘storia
sacra’ e ‘storia profana’, svincolava la massima parte dello sviluppo delle nazioni genti-
li dalla storia del popolo ebreo, contraddicendo alla radice le loro tesi essenziali, secon-
do cui le dottrine e figure più antiche e rinomate dei gentili riecheggiavano, in modo
travisato, corrotto, impallidito, comunque velato, verità e figure consegnate alle sacre
scritture. D’altra parte il compito che Vico si era dato di una difesa ben più credibile
della verità della storia sacra, lo induceva – come si vedrà meglio più avanti – a ripro-
porre, ripensandole in profondità, le vedute circa una particolare ‘geografia della civil-
tà’ relativa all’‘Oriente sacro’ che dall’area mesopotamica giungeva fino al Mediter-
raneo. Di qui dunque la necessità di un confronto con opere come la ‘Geographia’ di
Bochart, anche severamente critico, ma non certo irridentemente irrispettoso alla
maniera di Toland o Giannone. Allo stesso tempo si può osservare che il ‘propagazio-