letteratura erudita che aveva lavorato sull’originaria preminenza delle
forme civili e politiche dell’area mesopotamica (accanto o in contrasto
con quella egizia), sulla teoria della «translatio imperii», etc.
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Comunque – come si afferma nella
Scienza nuova
del 1725 – è andan-
do «a ritrovare tra’ princìpi della storia sacra», sulla base in primo luogo
delle esperienze delle «due schiavitù» patite dagli Ebrei (sotto gli Egizi
e nel corso dell’esilio babilonese), che «fuori d’ogni dubbio» risulta che
«dall’Oriente uscirono e si sparsero le nazioni a popolare tutta la terra,
che dovettero portarvisi per quelle stesse vie onde i credenti d’Adamo
andarono nell’empietà». Dunque dalle pianure, lontane dal mare,
dell’Oriente mesopotamico si era propagata l’umanità dopo il diluvio,
ma si erano anche propagate le prime rinate forme di scienze e arti
26
.
Con una simile veduta Vico, in fedeltà alla fondamentale esigenza di
confermare e meglio comprovare, «dimostrare», il racconto scritturisti-
co (dunque a una direttrice della sua riflessione sui tempi favolosi che
si potrebbe chiamare ‘storico-teologica’), teneva ben ferma la tesi del
‘monopropagazionismo’ delle stirpi umane (da Adamo e poi da Noè);
alla quale però autonomamente affiancava quella dell’almeno premi-
nente ‘poligenismo culturale’ (per le nazioni gentili), cui perveniva
invece primariamente per il tramite del lavorio in primo luogo della più
personale sua direttrice di pensiero storico, che si potrebbe definire
‘epistemica’ (in quanto retta, come si dirà tra poco, dalla fondazione di
una peculiare ‘logica del necessario’)
27
.
ENRICO NUZZO
26
nismo culturale’ che Vico in certa misura concedeva alle arti civili di cui non si era persa
la memoria in quell’‘Oriente sacro’ aveva avuto luogo in quelle terre orientali mesopo-
tamiche e in quelle contermini (fino a quelle del «mare internum»): cioè in quelle (sole)
aree nelle quali La Peyrère, nel
Praeadamitae
– aveva concesso che il
Genesi
potesse
essere seguito in ordine alla divisione delle terre fra le discendenze di Noè.
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Per già dichiarate ragioni di misura mi guardo dall’addentrarmi nella citazione di
una letteratura critica sull’argomento non poco vasta, e già considerevole se ci si ferma
a quella che ha investito l’opera di Vico. Per quanto riguarda questa seconda è dovero-
so salutare come una complessiva ‘pietra miliare’ i lavori di Paolo Rossi, per i quali si
può rinviare a
Le sterminate antichità e nuovi saggi vichiani
, Firenze, 1999.
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Delle quali – si vedrà meglio tra poco – più a lungo in verità aveva persistito la
memoria nelle discendenze di Noè più vicine alla pietà: in particolare – a parte il popo-
lo ebraico – le discendenze, per lo più ‘orientali’, di Sem.
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Proprio a proposito del nostro argomento va qui osservato che tale essenziale
‘logica’ (sulla quale si darà tra poco qualche cenno) – che regge le pretese del discorso
vichiano di istituirsi in forma di «scienza» dei fatti storici, e quindi di «dimostrazione»
di modi necessari del loro essersi dati – viene ambiziosamente estesa a nodi e momenti