In virtù di un ‘naturale’, ma in effetti provvidenziale, necessario or-
dine del presentarsi delle sequenze dei processi di sviluppo di pratiche,
costumi, istituti umani, i primi uomini furono condotti a insediarsi sui
monti per soddisfare la più urgente delle loro necessità materiali, vale a
dire il bisogno primario di attingere a fonti perenni. «Natura ipsa, seu
rectius divina providentia, rebus ipsis dictantibus, […] duxit primos
hominum fontium studio in montes rupesque»
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.
Un tale fondamentale e non poco duraturo passaggio si iscrive in un
ordine di sequenze della riconquista dell’umano – da parte degli uomini
fermatisi dall’erramento ferino – che ha una sua decisa e precisa topo-
grafia: i «luci», le radure nei boschi; le grotte sulle cime dei monti (con i
primi «oppida» lì fondati), nei tempi dello stato delle famiglie solitarie
(«primum rerumpublicarum rudimentum»)
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, governati con l’«autorità
monastica» dei primi padri pii; e soltanto poi le città, nelle quali prende
forma più compiutamente la naturale socievolezza umana, e quindi gli
stanziamenti nelle pianure; infine l’insediamento anche lungo le coste,
con in ultimo la sfida al mare aperto, non dovuta ad ulissea curiosità, sete
di conoscenza, ma a cogenti necessità o prosaiche utilità.
Quella riconquista dell’umano – da principio, e per lungo tempo –
è contrassegnata dal rovesciamento dei caratteri del divagamento
bestiale. Rovesciamento di caratteri riassumibile in ultimo in un’oppo-
sizione tra fermo e mobile, alto e basso, delimitato e illimitato (e dun-
que, tanto più fra terra e mare): quindi tra stanzialità e nomadismo; tra
verticalità e separazione da un lato, orizzontalità e confusione dall’al-
tro; tra pudico e
atterrito
nascondimento e bestiale messa a vista di
un’umanità nuda di umano.
Così ecco appunto il fermarsi e insediarsi durevole delle piccole
comunità familiari; rispetto al vagabondare senza senso, insensato, di
branchi di esseri perduti al rapporto con il divino e quindi a una comu-
ne umanità. Ecco, sia pure nelle forme della più elementare superstizio-
ne, la riconquistata relazione con il divino, il darsi di un rapporto ver-
ticale tra gli uomini arrestatisi, insediatisi sulle cime dei monti, ed il
cielo scrutato con sgomento nei suoi terribili «cenni» dalla primitiva
religione degli auspici; rispetto al rapporto orizzontale di totale confu-
sione con la natura: confusione nella promiscuità naturale dei corpi,
nella «venere bestiale» degli uomini senza il «certo» del «matrimonio»,
SPAZI E TEMPI DEL MEDITERRANEO NELLA STORIA VICHIANA DELLA CIVILTÀ
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45
Ivi, II, XXX [1], p. 699.
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De uno universi iuris principio et fine uno
(d’ora in poi
De uno
), CIII, p. 117.
1...,281,282,283,284,285,286,287,288,289,290 292,293,294,295,296,297,298,299,300,301,...484