5. Nel
De constantia
Vico aveva inserito piuttosto fugacemente – spie-
gandolo attraverso il mito di Medusa – il fenomeno della trasmigrazione
di plebei (evidentemente reduci da fallite secessioni), in fuga per il mare,
entro la trattazione del processo di ricostituzione delle repubbliche degli
ottimati: processo datosi, tramite un radicale rinnovamento, dopo che
queste si erano corrotte, nella «tertia epocha temporis obscuri», per l’ab-
bandono da parte dei «patricii» della originaria «virtus» dei «patres»,
trasformata in prepotente «ocium», così dando origine alle «prime seces-
siones»
59
. Allora si addivenne all’introduzione di rigidissime leggi penali
(con la tradizione di Minosse «primus […] legum inventor»), per tenere
a freno la moltitudine («adversus multitudinem»)
60
.
Ebbene, Vico – in una delle sue tanto inventive proposte esplicative
del significato di figure mitologiche – erigeva la figura mitica della
«marina bellua» Medusa («Medusae fabula») a «character» di quella
precisa «epocha» storica della rifondazione delle «optimatium respu-
blicae». Infatti Medusa non è altro – secondo la consueta strategia
vichiana di interpretazione ‘positiva’ del mito – che «la nave che sbar-
ca gli abitanti di terre transmarine, poi accolti a far parte della plebe»
da parte di patrizi i quali «non più come montanari [«ut montani»], ma
come gente di mare [«ut maritimi»] portavano seco sulla rocca le mogli
dei plebei e con esse le messi che ai plebei avevano rapinato», con
accoppiamenti dai quali erano sorti «i patrizi delle genti minori»
61
.
ENRICO NUZZO
40
59
De const.
, II, XXII [5, 7], pp. 603-605.
60
Ivi, II, XXVII [7,8], p. 635. Minosse appare già come «primus […] legislator»
nel
De uno
e nel «Programma chronologicum», lo schema cronologico posto agli inizi
della II parte del
De constantia
: cfr.
De uno
, CXLV, p. 179,
De const.
, II [4], p. 389. Vico
assumeva la considerazione di Minosse come primo legislatore, o tra i primi legislatori
(insieme con Licurgo, etc.), da un’antica tradizione, basata su svariate fonti (Diodoro
Siculo, etc.) e rinverdita in svariate modalità (Huet nella sua
Demonstratio evangelica
naturalmente non aveva mancato di ravvisare anche in lui una delle trasposizioni gre-
che della figura di Mosè). Per la cronologia degli eventi che interessarono il
Mediterraneo si veda più avanti.
61
Ivi, II, XXVII [29], p. 643; tr. it. p. 642. La susseguente interpretazione della
mitologia della «Chimaera» ritorna invece sulla primigenia topografia degli insedia-
menti umani: per i quali «necesse fuit» che si tenessero lontano dalle zone pianeggian-
ti, «plana terrarum», infestate da serpenti nell’estrema umidità che «necesse fuit» si
producesse dopo il diluvio: e viceversa si impiantassero in terre più alte, in «editioribus
terris», dove «necesse quoque erat ut agri essent et pascua» (e «in edito primae urbes
fundatae»), nel mentre ancora più in alto, «in summis saltuum» si insediavano le bestie
selvagge («fera») (II, XXVII [30], p. 645). In tale generale contesto – rivisto nelle
Dissertationes
– parrebbe un elemento di contraddizione parlare di abitanti di terre che
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