La peculiare rapidità dell’apprendimento e capacità di incremento
di quelle arti (con la loro estensione anche a quelle della navigazione),
da parte degli egizi, era dovuta ad un duplice ordine di fattori ‘natura-
li’. Infatti a produrre i caratteri di quella «gens» concorreva in primo
luogo il fattore che si potrebbe dire della ‘naturalità etnica’ (vale a dire
un «praeclarum», «praestans», «ingenium», in questo caso con un
ENRICO NUZZO
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capitolo: «Anno post Diluvium, ante babylonicam linguarum confusionem, Sem,
Cham, Iaphet exleges terram inter se divisisse; et in Assyria mansisse Semum, Chamum
in proximam Phoeniciam Aegyptumque, Iaphetum in Europam commigrasse» (ivi [4],
p. 431). Le successive due «dignitates» affermano che «in Oriente […] inter
Chaldaeos», avvenne la precoce restaurazione (duecento anni dopo il diluvio) di una
raffinata forma di «magia», che richiedeva «astrorum observationes», peraltro (fattore
causale ‘ambientale’) più agevoli nelle estesissime pianure mesopotamiche («in ingen-
tibus camporum aequoribus»); nel mentre «in Occidente genus divinationis natum tam
rude quam orientalium eruditum» (ivi [5-6, 18], pp. 431, 435). Dunque i primi sapien-
ti delle genti furono i caldei. Però «Chami posteritas in Phoenicia ob chaldeorum, et
aegyptiii ob phoenicium vicinitatem, mature interiores disciplinas invenire potuerunt»
(ivi [18], p. 435); e si vedano poi – con la conferma della stessa successione – le
Notae
in librum alterum
, 15, p. 763 («Chamidae autem ex vicinitate chaldaeorum – phoeni-
ces, nempe, et aegyptii – mature culti»).
Diversa invece la sorte di tutti i «Giapeti», essi tutti destinati ad essere solo per via
del fulmine riscossi a fuoriuscire dal bruto stupore nel quale si erano inabissati, aven-
do perso «omnem […] religionem» e con essa la loro «humanitatem». «At Iaphetidae,
longe a semitidis et chamitidis dissiti […], ad brutum stuporem redacti omnes, fulmi-
ne excitandi fuerunt ut caelum crederent deum eiusque voluntatem putarent Iovem»
(
De const.
, II, IX [18], p. 435). Come si vede, tutto il Mediterraneo europeo è conside-
rato da Vico (chiamando innanzitutto Omero a testimone) per lungo tempo popolato
(all’interno) da esseri che avevano le sembianze delle «Orphei ferae», degli
«Amphionis saxa» (ivi [16], p. 435).
Richiamo qui la necessità di un’indagine che segua puntualmente la non semplice
vicenda della riflessione vichiana sui caratteri e sulle destinazioni delle discendenze dei
tre figli di Noè: con Cam che – si può ricordare – si conferma il capostipite delle genti
abitanti in Egitto e poi, con maggiore precisione, pure di quelle stanziatesi nella restan-
te Africa settentrionale, e quindi nel Mediterraneo meridionale; e Jafet che resta il
capostipite di quelle che popolarono l’Europa (ma poi anche l’Asia settentrionale sci-
tica), e quindi il Mediterraneo settentrionale. Si tratta di una necessità ovviamente da
soddisfare in altra sede, rendendola oggetto di uno studio analitico ed organico di cui
ancora si sente il bisogno. Basterà ad esempio osservare la discrasia che pare sorgere
dal fatto che, nonostante nelle diverse versioni dell’
opus magnum
sempre più Vico
tenda ad accomunare le discendenze di Cam e Jafet, ma anche quelle di Sem che non
fossero i «soli ebrei», ancora nella «Tavola cronologica» che appare nelle due ultime
versioni della
Scienza nuova
, soltanto «Giapeto» è indicato come colui «dal quale pro-
vengon’i Giganti» (
Sn30EC
,
post
p. 58); cfr. poi
Sn44
, p. 449. Per una disamina un po’
più ravvicinata del tema si veda il citato mio saggio su
Gli «Sciti» e i «Chinesi» di Vico
.