sviluppa, senza dimenticare Erodoto, da Ippocrate a Platone, Aristote-
le, Galeno, Tolomeo, etc.) prospettazioni appunto particolarmente se-
gnate dall’interesse per il nesso clima-forme politiche. In terzo luogo
che, anche in ragione di ciò, complessivamente Vico nella trattazione su
tale tematica a cui perveniva configurava un rapporto causale unilinea-
re tra «populorum natura» e «rerumpublicarum formae».
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Infine, che
egli profilava una fenomenologia dei caratteri ‘antropologici’ e ‘politi-
ci’ delle nazioni nella quale sono ravvisabili uno sforzo sistematico, ma
anche elementi di incompiutezza, nell’assumere tradizionali coppie op-
positive ‘topo-etno-antropologiche’. Da queste egli riprendeva le cop-
pie essenziali, di carattere ‘antropologico’, «fortis-mollis» e «acutus-
rudis», e la loro connessione con quelle ‘geografiche’ dell’opposizione
«europei-asiani» (‘occidentale’-’orientale’); nel mentre soltanto tacita-
mente faceva affiorare l’altra coppia ‘settentrionale’-’meridionale’ (ac-
cennando ad esperienze di una mollizie anche ‘meridionale’, oltre che
‘asiatica’)
83
.
Così nel
De uno
egli profilava una quadripartizione derivante dal
gioco di quegli elementi ‘topo-etno-antropologici’ con le forme politi-
che, distinguendo dunque tra le genti (che popolavano le regioni che
davano sul Mediterraneo) innanzitutto quelle «fortissimae», rappresen-
tate da quasi tutti gli europei («tales fuere europaei ferme omnes») e
quindi disposte a forme di governo ottimatizio, e viceversa quelle «mol-
les et rudes», rappresentate dagli «asiani», facili ad essere sottoposti
ENRICO NUZZO
52
82
Laddove già in Ippocrate era ravvisabile – entro una complessiva attitudine a una
problematicità del discorso poi smarrita in rigide sistemazioni dottrinale – un tipo di
spiegazione di ‘condizionamento reciproco’ tra fattori naturali ed istituzionali. Si è
visto quanto invece appaia secco già il titolo del «caput» di cui si sta parlando: «De for-
mis rerumpublicarum ex populorum natura» (
De uno
, CXLV, p. 179). D’altra parte si
è intravisto – in particolare attraverso il caso degli sciti – come anche il giudizio vichia-
no sui popoli orientali non fosse univoco. E in ciò proprio l’apertura problematica del
discorso di Ippocrate ancora poteva costituire un esempio: «quanti nell’Asia, Elleni o
Barbari, non son soggetti a despoti ma vivono liberi e per sé stessi si affaticano, ebbe-
ne questi sono fra tutti i più valorosi», a conferma che anche gli Asiatici «sono fra sé
differenti, gli uni migliori, altri più vili» (
Le arie, le acque, i luoghi
[
De aëre aquis locis
],
in I
PPOCRATE
,
Opere
, a cura di M. Vegetti, Torino, 1976, pp. 219-220).
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La quale ultima in effetti si era tradizionalmente modulata entro la tripartizione
‘settentrionale-temperato-meridionale’ (lasciando qui da parte la dottrina dei sette climi,
etc.). Sull’opposizione tra la disposizione alla tirannide, ai «regna mera», «apud asianos»,
e invece l’odio per tali forme di governo per lo più «apud occidentales» (ma non pres-
so i «siculi o gli «aethrusci»), cfr.
De const.
, II, CXXXVIII [8-9], p. 169.