alla pure monarchie, a vivere «sub regnis meris». Tra gli occidentali
però v’erano a loro volta genti: «acutissimae et molles, quales siculi»,
presto soggiacenti «tyrannis»; «acutissimae et fortes», «ut cretenses,
athenienses, carthaginienses», che seppero ritrovare «leges et liberta-
tem»; infine «fortissimae, non tam acutae», «ut romani», che conqui-
starono più lentamente «libertatem»
84
.
Comunque è indubbio che Vico assumeva con decisione il clima (e
in particolare la «coeli temperies») a fondamento delle disposizioni dei
popoli a essere più o meno «ingeniosi» e quindi, in un’importantissima
sequenza di fattori causali, più o meno idonei a inoltrarsi lungo la civil-
tà. Su ciò è perentoria l’affermazione («nemo est qui negaverit») che si
legge nel capitolo del
De constantia
dedicato a investigare sull’origine
della lingua eroica, ossia della stessa poesia. In effetti, «humanitatis
principiis […] ingeniosae gentes facilius induunt»: ma sono le tempe-
rature del cielo – a seconda che questo sia più umido e freddo o vice-
versa più sottile e caldo – a fare nascere uomini di ingegno ottuso o
viceversa acuto
85
.
La particolare acutezza dei cretesi, ma più in genere dei greci (ed in
particolare delle parte occidentale della Grecia), anche in seguito riba-
dita
86
, si palesa dunque ascrivibile a uno dei fattori della diffusione della
«humanitas» lungo le vie del Mediterraneo. E ciò all’interno di una
SPAZI E TEMPI DEL MEDITERRANEO NELLA STORIA VICHIANA DELLA CIVILTÀ
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De uno
, CXLV [1-5], p. 179.
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«Nemo est qui negaverit esse coeli temperaturas quae gentes alias aliis ingenio-
siores alant, ut sub crasso frigidoque aëre obtusi, sub magis aethereo et aestuoso acuti
ingenii nascantur homines» (
De const.
, II, XII [5, 7], pp. 451-453). Nello stesso capi-
tolo appaiono qualificazioni di caratteri antropologici dei popoli – come la «gens acu-
tissima» dei fiorentini o viceversa la «stupidissima gens» dei peruviani – da iscrivere in
un regesto vichiano dei ‘caratteri delle nazioni’ (ivi [32, 35], pp. 461-463).
Quanto alla disposizione all’ingegno, essa ha poi fattori causali costanti: le solleci-
tazioni che vengono dalle forme di «necessitas» proprie della vita umana; la «phanta-
sia» più o meno vivida, derivante dall’acutezza dei sensi, la quale a sua volta è diversa
già tra gli animali e gli uomini («brutis acerrimi sensus sunt natura attributi»), poi
secondo il sesso («foeminae quam viri sensilia magis advertunt») e le età, tanto del sin-
golo individuo che di ogni gente, e dell’umanità in genere. Ecco dunque che «primos
ingeniosos homines […] nihil aliud quam ingeniosos pueros fuisse» (ivi [8-11], p. 453).
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Si veda ad esempio la celebrazione del «mirum gentis acumen», cioè della gente
della Grecia occidentale, di Samo patria di Omero e Pitagora, dal quale non a caso
venne «italicae et grecanicae philosophiae sublimioris magnum incrementum»
(
Dissertationes
, IV [18], p. 841). Comunque i greci sarebbero diventati davvero «acu-
tissim[i] et humanissimo[i]», soltanto «post immensa temporum intervalla», allorché
tra di loro si sarebbero affermati» i «philosophi» (
Notae in librum alterum
, 16, p. 763).