GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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mondo ideale gli scolastici, gli umanisti fino alla soglia dell’illumini-
smo, da Petrarca a Rousseau, come egli scrisse un giorno»
40
.
In effetti era invece lontana dalla sensibilità gariniana la prospettiva
di una ‘storia politica delle idee’, per così dire, che conduceva Venturi
alle sue note tesi e periodizzazioni sull’«Illuminismo riformatore»
41
.
Non a caso, Garin era stato e si sarebbe mostrato poco attento all’illu-
minismo italiano riformatore dopo Genovesi, o alla stessa questione
del ‘Vico politico’, riformulata in quegli anni anche con un radicale
rovesciamento dall’impostazione neoidealistica. La prospettiva metodi-
ca teorizzata e praticata da Garin prevedeva sicuramente una significa-
tiva, essenziale, contestualizzazione delle idee, ma in sostanza questa
veniva di fatto ‘circoscritta’, sul piano ‘orizzontale’, alle forme e modi
dei ‘discorsi culturali’ (con un fastidio forte verso i ‘discorsi sociolo-
gizzanti, sia pure negli anni ’50 con qualche apertura che Piovani non
avrebbe condiviso). Ciò prestava il fianco a possibili critiche di disin-
teressarsi ai nessi tra le ‘idee’ e le ‘cose’. Garin lo sapeva bene, e parava
in anticipo il possibile rimprovero a ricerche quali quelle raccolte nel
libro presentato, «di estenuarsi in una storia della cultura, e delle idee,
non saldata agli eventi reali»: in effetti «solo una preliminare ricostru-
zione esaustiva a livello culturale consentirà di ripercorrere poi in tutte
le articolazioni il moto dalle cose alle idee e dalle idee alle cose»
42
.
40
V
ENTURI
,
op. cit.
, p. 13.
41
Garin – sia chiaro – apprezzava moltissimo il lavoro di Venturi, uno storico il
quale «ha rinnovato la maniera di vedere l’Illuminismo in genere e quello italiano in
particolare (
Colloqui con Eugenio Garin. Un intellettuale del Novecento
, a cura di
R. Calligoli, Firenze, 2000, p. 26).
42
E. G
ARIN
,
Avvertenza
a
Dal Rinascimento…
, cit., p. 17. E, prendendo posizione
nei confronti del chiacchiericcio tanto corrente in quegli anni su rapporti tra «idee» e
«cose», aggiungeva nella stessa pagina: «comunque è certo che a nulla giovano superfi-
ciali e banali accostamenti, o ipotesi di immediate determinazioni, o, peggio, richiami
generici a situazioni politico-sociali. I nessi, quando vi sono, non possono essere indi-
viduati se non conducendo spregiudicatamente avanti l’analisi, e ricercando le effettive
incidenze delle cose sulle idee, nella misura in cui sono specifiche e documentabili, e
nei limiti posti dall’indagine». Tutto giusto. Risulta chiara tuttavia la lontananza della
sensibilità storiografica gariniana anche da prospettive e pratiche assai serie di ‘storia
politica delle idee’: come ad esempio – nel caso degli studi vichiani – quella che con-
duceva in quegli anni Giarrizzo ad un’innovativa lettura ‘politica’ di Vico, in apporti
fecondi (anche se non sempre persuasivi) al ‘nuovo corso’ di quegli studi; secondo una
direzione (trovare in ultimo il punto di riferimento e di valutazione delle idee in precisi
contesti o ‘fatti’ di ordine politico) della quale non è certo il caso qui di indicare
analogie o differenze con quella intrapresa da Venturi.
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