costellazione di elementi causali i principali dei quali – come si è pro-
vato a vedere – così possono essere dall’interprete organicamente de-
scritti: il fattore pertinente al discorso ‘storico-teologico’ della diffusio-
ne delle arti dall’‘Oriente sacro’; il fattore ‘storico-strutturale’ dell’in-
venzione delle arti per rispondere alle comuni necessità, via via meno
elementari, di ogni comunità umana; l’altro fattore ‘storico-strutturale’
(ma che si esplica in precise fasi del processo storico delle genti che
hanno variamente conosciuto il fenomeno delle clientele) dell’insorgere
dei conflitti da parte dei «famuli» sottoposti all’oppressione insostenibi-
le dei «patres», e quindi fuggiti per fondare le prime colonie; il fattore
‘naturale-climatico’ proprio del discorso ‘topo-etno-antropologico’.
Nel complessivo discorso che univa tutti questi approcci concettua-
li e materiali linguistici, Vico, spodestando ogni pretesa di rinvenire
dotte nazioni fiorire presto e da sole nel Mediterraneo, provava così a
tenere insieme un’essenziale teoria di non empio ‘poligenismo cultura-
le’ e una ben più misurata veduta relativa a contenute forme di ‘propa-
gazione’ della «humanitas» (mediante relazioni almeno alle origini con-
notate da un elemento di conflittualità, presente nelle guerre, ma pure
nelle trasmigrazioni marittime dei famoli). In tal modo da un lato com-
batteva empie tesi di assoluto ‘poligenismo’ (alla La Peyrère…) corre-
late all’ipotesi (che non doveva essere passata sotto silenzio), sostenuta
dai cinesi, dell’enorme antichità del mondo; tesi più che adombrate
nella veduta che i greci fossero scampati al diluvio, custodendo le
«scienze antiluviane».
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Dall’altro però, con la sua ben innovativa dife-
sa dell’ortodossia, si schierava apertamente contro gli «Eruditi christia-
ni» (facile scorgere il riferimento a figure come quelle di Bochart, Huet,
etc.) che pretendevano di reperire in ogni espressione delle culture
dotte diffuse attorno al Mediterraneo (egizi, fenici, greci, etc.) la velata
sopravvivenza o eco della sapienza ebraica, della «Mosis schola»
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.
ENRICO NUZZO
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La veduta empia, che si era trovata sostenuta «sinensibus», che sarebbe stata
«enormem» la «terrarum orbis antiquitatem», viene dichiarata dall’autore un argomen-
to che «sane christiano sapienti non est dissimulandum, sed omnino reprehendum et
confutandum» (
De const.
, II, I [15], p. 395). Perciò occorreva dimostrare «falsum» – e
Vico rivendicava di averlo fatto «invictis rationibus» – l’analoga empia veduta («nefas»)
che «Homeri gentem, a Diluvio in aliquo summo monte servatam, antediluvianas scien-
tias custodisse» (ivi, II, XII [45], p. 469).
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Quando invece gli Ebrei – peculiarmente «insociabiles», e perciò tali da radica-
lizzare il costume delle «priscae gentes» di restare «ignarae» le une alle altre – è impos-
sibile che avessero divulgato «suam doctrinam» (
ibid
.).