È questo un punto fondamentale, centrale nella successiva
Dissertatio
VII «De primis coloniis», la quale – come si è accennato –
può presentare qualche problema esegetico.
Ciò che non fa assolutamente problema è l’argomento preliminare
del discorso, che ormai ben conosciamo, anche in seguito costantemen-
te ripreso, secondo il quale le prime genti condivisero tutte la «maris
religio», una paralizzante superstizione che indusse a lasciare a lungo
deserte, «vacua», le «regionum maritima»
97
.
Non del tutto lineare può apparire invece l’insieme del discorso al ter-
mine del quale l’autore propone una personale precisa tipologia triparti-
ta delle «prime colonie» (con un’ulteriore tripartizione che riguarda il
primo tipo di esse), ed evidenzia la tesi, di primaria importanza, che tutte
si diedero senza conflitti bellici. Infatti in tale tipologia compare un feno-
meno, quello delle colonie fondate a scopo di guadagno attraverso i com-
merci, che in precedenza è iscritto nelle «seconde colonie», tutte invece
«dedotte con le armi». Difficoltà dalle quali si esce se si intende che nella
prima parte di questa
Dissertatio
l’autore presenta ancora elementi del-
l’itinerario concettuale precedentemente seguito, salvo a mostrarci come
lo curvi poi in una nuova direzione: come attesta la dichiarazione – che
si dà appunto nel corso inoltrato della
Dissertatio
– che le «philologo-
rum angustiae super priscis coloniis» erano state assunte anche da lui
98
.
ENRICO NUZZO
58
97
Tanto che i sacerdoti egizi reputavano ancora il navigare un atto sacrilego («navi-
gare putarint piaculum»), sulla scorta della falsa credenza che nel mare fosse morta la
divinità solare Osiride, quando pure i loro re e monarchi dominavano il Mediterraneo
(«imperium Mediterraneo mari tam longe lateque potens tenerent»): per il che è neces-
sario («necesse est») che questi, avvalendosi dell’elemento arcano del loro potere («ali-
quo potentiae arcano»), avessero proibito ai sacerdoti, come cosa sacrilega («res profa-
na») l’avere a che fare con attività belliche e sfere di azione oltre mare: cfr.
Dissertationes
, VII [1-2], pp. 873-875. Sulla prolungata mancanza di vita umana sulle
coste Vico apporta anche qui testimonianze in primo luogo tratte da Omero: come le
esperienze di Ulisse, o la stessa tradizione della distanza dal mare di Troia. In partico-
lare l’Ulisse di cui narra Omero nell’
Odissea
, «quoquo terrarum appellit, conscendit
speculas, explorabundus an eas terras homines incolant, et ex longinquo fumo earum
coniicit aliquem cultum humanum». Il luogo, con qualche cambiamento, è riprodotto
in italiano – in
Sn25
, § 236, p. 1094 – ad argomentare il principio che «era sparsa da
per tutte le antiche nazioni una superstizione di non abitare sui lidi del mare»: «dovun-
que Ulisse o approda o è da tempesta portato, monta alcun poggio per veder dentro
terra fumo che significassegli esservi uomini». Ma anche l’originaria posizione ‘medi-
terranea’ di Troia sarà da Vico successivamente riproposta.
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In proposito la traduzione di «acciperemus» con «abbiamo compreso» rischia di
fuorviare. Una non innocua distrazione del traduttore deve poi ritenersi la resa di
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