mati presso le necessarie fonti perenni di acqua pura) che precede la
«maris religio»
102
.
Le «secundae coloniae» sono quelle «quae in mare deductae sunt»,
a seguito dei tumulti agrari («ob agrarias turbas»), ciò che Vico chiame-
rà diffusamente le «contese agrarie», ad opera dei plebei in essi scon-
fitti dagli ottimati, in fuga sulle navi per timore della loro reazione. Di
queste peregrinazioni sul mare («per maris errores»), cominciate e con-
dotte loro malgrado, sono in effetti caratteri poetici – come l’autore
aveva già fato intravedere – Didone ed Enea
103
.
Infine, le «tertiae coloniae» sono quelle che, ormai in tempi ben più
umani, a fini di lucro («lucri caussa») e quindi liberamente e di propo-
sito («ultro et consulto»), praticarono i fenici, «coloniis celebres»,
esplorando «Mediterranei litora» alla ricerca di terre non abitate
(«vacua») dove potere fondare tranquillamente, in modo non conflit-
tuale («commode»), colonie con le quali poi comunicare lungo rotte
collaudate e sicure, con la loro città principale, Tiro. Per le stesse ragio-
ni utilitarie nei tempi umani ritornati si mossero a colonizzare il nuovo
mondo Colombo, Vespucci, Magellano, De Gama, ed altri ancora
104
.
Poco prima in questa
Dissertatio
Vico ha invece parlato sia di «pri-
mae» che di «secundae coloniae». Ora qui le «prime» per il momento
sono soltanto di un tipo: quelle fondate dai «transmarin[i]», e, come
l’autore tiene a sottolineare, «citra bellum», senza guerre. Infatti dal
principio che le regioni marittime furono «diu vacua» consegue che
componenti delle plebi sconfitte nei conflitti agrari sollevati, in fuga
dall’ira dei padri vincitori, e provenienti da paesi come l’Egitto nei
quali la pratica delle arti navali era già diffusa, poterono scegliersi sedi
in siti marittimi. Dalla diversa genesi della «deduzione» delle «secon-
ENRICO NUZZO
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Riprendendo attraverso Strabone un passo di Platone, ma pure utilizzando
ancora una volta il suo Omero, Vico qui individua: una prima forma di vita insediata
«in iugis montium, simplicem et agrestem, aquarum timidam quae adhuc plana inun-
dabant», di cui sono protagonisti «patres» che «in montanis locis» si nutrivano racco-
gliendo i frutti spontanei della natura (uno ‘stadio’ dei ‘raccoglitori’); una seconda
forma, discesa «in montium radicibus», con i «patres» diventati «fortes» domando la
terra dei campi che avevano cominciato ad essiccarsi; una terza forma che si estende
«in ipsa camporum planicie, terra omnino exsiccata», ma ora con l’articolazione socia-
le dei «patres» ormai «optimi», «inclyti», rispetto a coloro che sono divenuti loro
«clientes», e che propriamente sono mandati come «coloni» nelle pianure, nel mentre
i primi – come si è visto – continuavano a risiedere in alto. Si veda ivi [11, 12], p. 879.
103
Ivi [12], p. 879.
104
Ibid
.