Con la rivendicata scoperta e definizione di «princìpi» ed «argo-
menti» del tutto nuovi, la cruciale tesi ortodossa, ‘monopropagazioni-
stica’, opposta a devianti vedute poligenetiche, della derivazione di
tutte le nazioni dall’unico ceppo di Adamo, e poi di Noè, dunque della
loro propagazione dall’Asia mesopotamica, si accompagnava alle pecu-
liari tesi: dell’«error bestiale» delle «razze perdute degli tre figliuoli di
Noè», uomini i quali se non fossero stati spinti dalle necessità conse-
guenti alla loro condizione sarebbero «ristati nell’Asia» al pari del
«popolo di Dio»; quindi del loro fermarsi sui monti e del successivo
lento scendere verso le pianure, avvicinarsi ai «lidi del mare», e infine
– conquistate presso alcune genti i rudimenti delle arti della costruzio-
ne di imbarcazioni e della navigazione – essersi immessi in esso con le
prime perigliose «trasmigrazioni» marittime
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ENRICO NUZZO
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La degnità XCVII offre, in qualità di un vero e proprio «postulato» – che deve
essere ‘concesso’ però sulla base della sua inattaccabilità sul piano razionale (perché
«ragion non offende») – la sequenza dei modi fondamentali dell’abitare umano, dalle
spelonche alle rive del mare: «dopo il diluvio gli uomini prima abitarono sopra i monti,
alquanto tempo dopo calarono alle pianure, dopo lunga età finalmente si assicurarono
di condursi a’ lidi del mare». La seguente consente, attraverso un’indiretta testimonian-
za platonica, di articolare le prime due modalità in tre momenti: avendo gli uomini
prima «abitato nelle grotte sui monti», poi «sulle falde», «finalmente, nelle pianure».
La terza – che invoca «l’antica tradizione che Tiro prima fu fondata entro terra, e dipoi
portata nel lido del mar Fenicio» – apre la via a sostenere anche con prove di ordine
filologico la scoperta «che prima si fondarono le nazioni mediterranee, dappoi le marit-
time», e quindi a rivendicare (come sopra si è visto) l’elaborazione di «un grand’argo-
mento» a dimostrazione dell’«antichità del popolo ebreo, che da Noè si fondò nella
Mesopotamia, ch’è la terra più mediterranea del primo mondo abitabile, e sì fu l’anti-
chissima di tutte le nazioni» (§§ 295-298, p. 532, con qualche lieve modifica rispetto a
Sn30EC
, pp. 115-116). Le successive degnità definiscono i connessi princìpi del natu-
rale attaccamento degli uomini alle «propie terre» natie e dell’inospitalità delle nazioni
barbare. «Gli uomini non s’inducono ad abbandonar affatto le propie terre, che sono
naturalmente care a’ natii, che per ultime necessità della vita; o di lasciarle a tempo che
o per l’ingordigia d’arricchire co’ traffici, o per gelosia di conservar gli acquisti». «Le
nazioni nella loro barbarie sono impenetrabili, che si debbon irrompere da fuori con le
guerre, o da dentro spontaneamente aprire agli stranieri per l’utilità de’ commerzi». Si
spiegano così: la vicenda dell’«error bestiale» di esseri spinti al divagamento dalle stes-
se necessità imposte dalla condizione nella quale sono precipitati («fuggire le fiere»,
«inseguire le schive e ritrose donne», «cercare pascolo e acqua»); l’articolata fenome-
nologia delle «trasmigrazioni de’ popoli» («colonie eroiche marittime», «innondazioni
de’ barbari», «colonie romane ultime», «colonie degli europei nell’Indie»); le forme di
rottura o superamento dell’inospitalità originaria delle genti (come ad esempio attesta-
no – per quanto riguarda la soggettiva «ingordigia d’arricchire» che si intreccia con