GLI STUDI VICHIANI DI EUGENIO GARIN
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Garin offriva ora sull’argomento argomenti precisi, appropriate in-
dicazioni. Così le indagini della Yates, della Jacob, etc., corroboravano
una nuova considerazione degli intrecci delle idee anche negli autori
della ‘Rivoluzione scientifica’, come le presenze dell’ermetismo, «attra-
verso Bruno e Toland», fino a D’Holbach
45
.
Dell’impostazione critica precedente tornava anche, ulteriormente
ripensata, la tesi della separazione tra ‘fisica’ e ‘metafisica’, un nodo
problematico che giungeva, come un compito da assolvere, fino a
Vico. In proposito v’era un punto fondamentale per affrontare, inten-
dere, la stagione della seconda metà del Seicento, e dunque in partico-
lare «il moto della cultura italiana fra gli anni della morte di Campa-
nella e di Galileo, e quelli della prima formazione di Vico». «Il motivo
profondo per cui nella seconda metà del Seicento riemersero dovun-
que le tematiche rinascimentali» stava nel fatto che – dinanzi all’esi-
genza della nuova scienza della natura di recare in sé, più in genere
richiedere, anche «una nuova logica, una nuova antropologia e una
nuova ontologia» – «i ritorni alle ontologie pitagorico-democriteo-pla-
toniche, alle antropologie umanistiche», venivano incontro alla «dop-
pia necessità di colmare i vuoti ‘metafisici’ lasciati dalle nuove fisiche e
di bloccare le controffensive delle metafisiche tradizionali»
46
.
45
Ibid.
. La proposta estensione dell’influenza di talune idee però non appare
sempre convincente. Certo, «la teoria delle grandi congiunzioni […] costituisce lo
sfondo indispensabile per intendere tutto un filone del pensiero europeo lungo vari
secoli: il mutare ‘fatale’ delle religioni e degli imperi, le ‘epoche’ storiche, lo spostarsi
‘geografico’ delle civiltà da paese a paese». Ma sembra piuttosto discutibile che occor-
ra guardare a tale «alfabeto astrologico» per non farsi sfuggire anche «alcuni sensi»
della vichiana «teoria dei corsi e ricorsi» (ivi, pp. 10-11). La presenza che questa pure
attestava ancora nel pensiero del filosofo napoletano di un antico immaginario ‘ciclico’
non mi pare che fosse carica di cifre astrologiche. Si tratta però di ben poca cosa. In
effetti l’insieme delle prospettazioni e sollecitazioni che venivano da una direttrice sto-
riografica nella quale accanto ai lavori di Garin si iscrivevano quelli della Yates, della
Jacob, restava comunque di grande rilievo e fecondità anche per l’avvio di nuove inda-
gini relativi alla cultura meridionale settecentesca: come quelle sul Principe di Sanseve-
ro, sull’«ermetismo illuministico», etc., condotte da Vincenzo Ferrone (nei libri del
1982, del 1989), il quale non mancava di riconoscere i debiti contratti in particolare
con quegli studi di Garin.
46
I
D
.,
Da Campanella a Vico
, in
Dal Rinascimento…
, cit
.
, pp. 86-88. Si tratta del
testo della relazione tenuta nel maggio del 1968 al Convegno internazionale «Cam-
panella e Vico» presso l’Accademia Nazionale dei Lincei: testo già presentato, ma
senza note, in «Cultura e scuola» VII (1968), pp. 5-17; poi nei relativi atti,
Campanella
e Vico
, Roma, 1969, pp. 11-34.
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