Tra il 1721 e il ’24, Domenico Rossi porta a termine la ricostruzione
del Palazzo situato al centro della città in una stretta piazza nelle vicinan-
ze della Calle degli Avvocati, seguendo una prassi ormai consolidata. Già
da qualche decennio si assiste infatti a un grande fervore edilizio, di
restauro e riqualificazione dei vecchi palazzi nobiliari.Tale rinnovamen-
to, non certo solo «di facciata», coinvolge tutto il palazzo, mutandone
completamente gli spazi interni, gli arredi e la decorazione con un ritmo
inarrestabile che dà alla dimora settecentesca veneziana un aspetto total-
mente nuovo, più in sintonia con le funzioni dell’abitare e del ricevere
della società aristocratica «internazionale». È il segno dell’entrata in sce-
na di nuove famiglie nella classe dominante, quelle provenienti dal mon-
do degli affari, della finanza e delle professioni, i ‘nuovi aggregati’ all’an-
tico patriziato lagunare, e i ‘nobili di Candia’ che durante la seconda me-
tà del Seicento avevano potuto acquistare il titolo di Nobiluomo per
centomila ducati all’epoca del lungo assedio della città in mano turca.
Così, il palazzo patrizio tra la fine del Seicento e gli inizi del secolo
successivo vede una trasformazione sempre più radicale che investe tutti
gli sforzi finanziari delle ‘nuove’ famiglie – ma anche la concorrenza del
‘vecchio’ patriziato – in termini di ripensamento delle opere da acquista-
re o nella progettazione di spazi sontuosi, di cui la biblioteca è forse il
simbolo più evidente, arricchita non solo di testi rari e codici dalle legatu-
re preziose ma anche di quadri, statue, oggetti di arredo. Allo stesso mo-
do, il salone da ballo sarà un segno di distinzione sociale e grande cura
verrà posta nella sua decorazione fissa, l’affresco del soffitto.
Esempio di questa evoluzione degli ambienti destinati allo svago è il
rinnovato palazzo dei ‘nuovi’ conti Zenobio; già negli anni ’80 del Sei-
cento il soffitto del salone viene dipinto con l’
Aurora
e altre figure vo-
lanti di contorno elegantemente inserite nello spazio ovale dal pittore,
francese ma veneziano di adozione, Louis Dorigny, in toni chiari e raf-
finati consoni all’ambiente e destinati ad avere una vasta eco nella pit-
tura profana di Venezia, come modello per le soluzioni di Sebastiano
Ricci e poi di Tiepolo, qualche decennio più in là. Sarà Ricci in partico-
lare a ‘riscoprire’ i colori luminosi e brillanti di Veronese ed anche nella
sua folgorante carriera internazionale i grandi raggruppamenti di figu-
re del barocco romano, berniniano e cortonesco, studiati da vicino e
riproposti dal pittore nel
Ratto delle Sabine
del palazzo Barbaro-Curtis
su Canal Grande. In una città in cui non esistevano ancora a fine Sei-
cento cicli di affreschi unitari dal punto di vista della concezione visi-
va e tematica, il Ricci con la sua pittura aggiornata in senso moderno e
ANGELA CATELLO
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