1718, si chiude un altro capitolo durissimo della sua storia – la secola-
re lotta con i Turchi – ha inizio il declino politico della Serenissima. Se
Venezia si farà un vanto della sua neutralità per i successivi sessant’an-
ni, già dopo un ventennio sarà chiaro come questa neutralità fosse
dovuta non tanto a un ruolo di eminente prudenza ammantata di orgo-
glio aristocratico, ma soprattutto a una evidente e irreversibile debolez-
za economica, militare e politica. Per affrontare tale decadenza sareb-
be stata necessaria la costituzione di una burocrazia moderna conforme
ai tempi e alle circostanze, essenziale per dare alla politica interna ed
estera un assetto adeguato; la mancata attuazione di questi apparati si
deve, ancora una volta, a quella classe aristocratica che deteneva il mo-
nopolio totale dell’amministrazione dello stato.
La storia di Venezia è costruita infatti tutto intorno ad una aristocra-
zia che a partire dalla sommossa contro il doge Orso nell’ 803, si erige
a baluardo di libertà di fronte alle prevaricazioni del dogato, questa sin-
golare figura istituzionale che risale al 697, quando l’Esarca di Ravenna
aveva nominato il primo
dux
Paolo Lucio Anafesto come governatore
militare della Venezia bizantina.
La presa di coscienza della forza del patriziato è alla base degli appa-
rati istituiti per il controllo del doge e che si moltiplicarono nel tempo,
come il Maggior Consiglio (istituito nel 1172), e poi, nel XIV secolo, il
Consiglio dei Dieci, considerato il simbolo della libertà aristocratica, a
cui si aggiungerà successivamente un Senato o Consiglio de’ Pregàdi
(cioè ‘pregàti’ dal doge di dare il proprio parere al Maggior Consiglio).
E tuttavia, nel XVIII secolo questo perfetto meccanismo politico fini-
sce, come si è detto, col logorarsi: a nuove istituzioni e cariche che si mol-
tiplicano occorrerà imprimere una frenetica rotazione tra chi le occupa,
più per soddisfare ed equilibrare il sempre maggior numero di gruppi di
potere che non per effettive esigenze dello Stato. Si avvicina quel 1797
che con la Pace di Campoformio metterà fine alla storia della Repubblica
di Venezia, che come è noto sarà ceduta all’Austria da Napoleone.
Quando Vettor Sandi, il figlio di Tommaso – committente dell’af-
fresco di Tiepolo – decide di affrontare l’ambizioso progetto storiogra-
fico di una storia politica di Venezia, ha ormai cinquant’anni, avvocato
come il padre, ma di ben altro spessore culturale. Aristocratico nell’ani-
mo, ideale depositario di una virtuale e virtuosa ricostruzione dello spi-
rito di quella nobiltà che non apparteneva in origine – come sappiamo –
alla sua famiglia, ma che suo nonno aveva comprato, e a caro prezzo
(100.000 ducati, nel 1685), Vettor aveva già capito che era meglio far
ALESSANDRO STILE
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