defilata, quelle posizioni che consideravano il diritto veneto e quello
romano come parti di un unico sistema giuridico ma ripensati alla luce
di esigenze locali.
È questa la strada che Sandi percorre all’interno della storia delle
istituzioni veneziane, ponendosi dunque in modo critico verso le tesi
che contemplavano le leggi veneziane come create dalla saggezza degli
antichi reggitori della Repubblica. In tale rifiuto si appoggiava alle tesi
di Gravina e alla vichiana ‘boria della nazioni’, che aveva avuto proprio
nel
De ratione
la sua prima formulazione
30
. Sandi è molto esplicito e cri-
tico verso gli storiografi del suo tempo:
Visse nel secolo XVIII, chi volendo forse donar alla nazione un encomio, non so
se convinto, o se solo sospetto di adulazione, di cui ella non andò in traccia giam-
mai, diede il merito alli Veneziani vissuti alla metà del secolo di N. S. XIII, di
aversi essi medesimi formato da se con spirito intieramente ritrovatore, senza
rescienza, o rapporto veruno al Diritto, che correva allora nell’ Italia (il quale era
già il Romano sotto qualche varietà di aspetto) quel Corpo, o Codice Statutario
suaccennato, ch’è il più antico rimastoci. Questa proposizione benché non sve-
latamente, mi sono posto a combattere con varj pezzi de’ miei primi Volumi.
Di contro, oppone una equilibrata influenza del diritto romano sul
corpo civile veneziano, ponendosi dichiaratamente nel solco di una sto-
riografia in cui Vico ha un ruolo ben preciso:
Anche dall’antico Romano diritto, e Giurisprudenza, qual correva in Italia, e
nell’Oriente, vedremo aver preso i Veneziani nel XIII secolo dottrine di civile
giustizia; e pure non perciò furono soggetti all’Occidente, o all’Oriente, come
si ragionerà. Anche gli statuti degli Spartani si comunicarono ai Sabini, e da
questi passarono a Roma, o sotto il re Numa, o perché secondo Ateneo li
Romani serbarono dopo le leggi Decemvirali la polizia Laconica con più d’ac-
curatezza che gli stessi Spartani; non perciò Roma fu suddita a Sparta: né per-
ché quell’Ermodoro di Efeso, se crediamo a Pomponio, fu auttor ai Romani
ALESSANDRO STILE
98
30
«Leges autem ipsi magis aliis nationibus dono dare, quam ullas peregre accipe-
re. Quibus rebus tantum caeteris’ se gentibus praestare existimabant, ut illa fastus
plena interrogatione uterentur: — Graecus es, an barbarus? – quasi omnlum orbis ter-
rarum gentium ipsi dimidiam et meliorem partem valerent» [I greci «solevano dare
leggi ad altre nazioni piuttosto che riceverne alcuna. Onde tanto si giudicavano supe-
riori agli altri popoli da porre quel domanda piena di boria: Sei tu greco o barbaro?
quasi essi valessero per una metà, e per la migliore, di tutti i popoli»] (G. V
ICO
,
De
nostri temporis studiorum ratione
, cap. XIV, in
Opere
, 2 voll., a cura di A. Battistini,
Milano, 1990, vol. I, pp. 204-205).
1...,344,345,346,347,348,349,350,351,352,353 355,356,357,358,359,360,361,362,363,364,...484