1. Non c’è dubbio: la «grande operazione» che Vico intende com-
piere consiste nella estensione della «mathesis universalis alla storia,
ovvero: la riduzione dell’accidentale e contingente nell’ordine di un sa-
pere necessario e apriori». Il ‘suo’ Bacone ne aveva intuito l’esigenza; la
nuova scienza cartesiana lungi dal poterla soddisfare, nemmeno era in
grado di comprenderne la portata; Vico assume la sfida. Ma come potrà
la lingua della
mathesis
, che è quella ‘ultima’ della ragione, la più ‘inci-
vilita’, «rendere il linguaggio delle origini, il monosillabo, l’inarticolato
geroglifico sonoro»? Non può. «Nell’atto stesso in cui il vero accoglie
nel suo ordine il certo, lo falsa». La dimensione del certo rimarrebbe
nell’incertissimo se non potesse venire compresa secondo quei principi
e quelle «dignità» che sono espressione dell’Ordine eterno e divino
(per cui dire «senz’ordine» equivale a «dir senza Dio») – ma che cosa
rimane della
carne
della parola, della lingua-gesto, nell’ordine del Di-
scorso? Aporia che può svilupparsi in ogni direzione. Che ne è del
mythos
nel mytho-
logein
? Mythologein
kai
philosophein – ‘canta’ il
Fedone
. Ma nulla è più problematico di quella congiunzione. Nulla più
difficile dell’ ‘e’. E saranno forse proprio i più geniali innovatori dell’
‘epos’ contemporaneo, Joyce e Beckett, entrambi entusiasti lettori di
Vico, a ricordarlo (nel 1929 Beckett dedica al maestro Joyce un saggio
intitolato
Dante…Bruno. Vico… Joyce
, dove i punti indicano i secoli
che intercorrono tra l’uno e l’altro): le parole dovrebbero farsi
pragma-
ta
, cessare di essere ‘simboli’ per coincidere con ciò che vogliono espri-
mere, per
sapere
della cosa che dicono. La parola dovrebbe imporsi di
per sé, farsi strada a gomitate, divampare oppure sbiadire fino all’esau-
rimento in rapporto alle situazioni che rappresenta, non metterle in
scena, ma viverle. Dante raggiunge una simile
akmè
? l’eroico furore del
Nolano? il vorticoso oceano delle parole dell’
Ulysses
? La poesia anela
necessariamente a questa parola ‘prima’ del Discorso. Ma potrà mai
raggiungerla? Vico ne comprende la natura, sa che l’origine è sempre la
potissima pars
di un intero, ma sa anche che è impossibile far rivivere il
gesto, l’urlo, il
corpo
originario della parola. Tuttavia, la sua ‘scoperta’
è alla base di ogni autentica
filosofia
del linguaggio: il corpo è la culla
di tutti i linguaggi. L’espressione non è di Vico (né del ‘mago del Nord’,
di Hamann, che Berlin ci ha insegnato a leggere con Vico), è di Paul
Valery! I poeti contemporanei lo hanno saputo più dei filosofi, ma i
grandi filosofi non l’hanno ignorato: anche il
Leib
husserliano è culla
del linguaggio – ma, ecco la
differenza
con Vico, una culla da sempre
destinata a trasformarsi in altro da sé, null’altro che un ‘momento’
MASSIMO CACCIARI
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