superato, senza che proprio tale
alterità
sia sottoposta a critica. Ciò che
fa, invece, il Vico filosofo della crisi. Tutta la sua opera si accanisce ine-
sausta intorno al problema: come può il Discorso sussumere
vera-
mente
in sé quell’abissale fondo da cui
dice
di provenire? È «nei tempi
muti del corpo» che nasce il linguaggio – ma come può ora lo stesso lin-
guaggio dar parola a ciò che è
muto
? Se ciò che è muto parlasse cesse-
rebbe di essere ciò che è. Ciò che è muto non può dire se stesso (né
comprendersi
, poiché non si danno idee se non incarnate in linguaggio),
e il linguaggio che lo dice mai potrà dirlo
in verità
. Il vero delle idee
non potrà così risolvere in se stesso il certo intessuto all’incertissimo di
quei «tempi muti del corpo». E tuttavia non potrebbe fondarsi diver-
samente! Poiché pensare è sempre
nach-denken
; poiché è solo la scioc-
ca boria dei dotti a pretendere di iniziare da sé, dai ‘libri’; poiché non
vi è dottrina che sia inizio a se stessa e tutte nascono dalla loro
materia
.
Come la civiltà ha origine non civile e le leggi sono prima dei filosofi,
così lo stesso linguaggio trarrà origine da ciò che linguaggio non è. Ma
come potrà far sua questa ‘aliena’ materia?
2. Il problema di dimostrare a posteriori il ‘fatto’ originario pensato
apriori, così da armonizzare verità di ragione e verità di fatto, problema
che incontrerà Schelling proprio nel trattare filosofia della mitologia e
della Rivelazione, è complementare e speculare all’altro, che deriva a
Vico dall’intera tradizione neo-platonica: l’Ordine, che gli ordini della
mente a loro volta riflettono, postula l’Unità del Principio, dell’
Arché
.
Ma «come dall’infinità di Dio al finito dell’uomo e delle cose, degli acci-
denti tutti, e quindi al conoscere» (Vitiello). Il conoscere articola, distin-
gue, divide – è conoscere
critico
o non è. Ma il Logos divino, il
Logos-
theos
, conosce allo stesso modo? Lo costruiremmo, allora, a nostra im-
magine, come fa la boria, questa volta, della teologia. Né potrebbe, allo-
ra, essere concepito come Uno, poiché il conoscere critico non può con-
cepirsi se non come sempre risalente dal dubbio e rifluente in esso, dal
certo al vero e dal vero, di nuovo, ‘ai ferri corti’ col certo. Ma se l’Uno
non conosce, e l’Uno è plotinianamente oltre il Nous, come potrà risul-
tare a fondamento dell’unità delle idee e dei principi con i quali ci ren-
diamo comprensibili i «fatti della storia certa»?
È questa interrogazione schiettamente neo-platonica che rende il pen-
siero di Vico ‘irraggiungibile’ da parte del contemporaneo storicismo.
Quest’ultimo nasce proprio dalla ‘rimozione’ della domanda sul ‘vime’
indissolubile tra idea di Ordine e teosofia dell’Uno, riducendo quest’ul-
NOTE SU
VICO. STORIA, LINGUAGGIO, NATURA
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