tima a istanza metafisica ‘superata’. È grande merito di Vitiello averla,
invece, riportata al centro dell’interpretazione di Vico. Le cose corrono,
dis-corrono
, conformemente all’Ordine eterno e divino. Esso solo è
vero
;
il certo – argomenta Vitiello – è
pars veri
, non il Vero. Ma questo – ecco
l’aporia – implica che il Vero non sia il certo, pur dovendo contenerlo in
sé, poiché il Vero mostra, per Vico, di poter
comprehendere
il certo, men-
tre il certo non sa sapere se stesso. Per sapere, infatti, è necessario poter
attingere a quei principi che solo ragione e filosofia posseggono. Tuttavia,
proprio così, insiste Vitiello, si introduce «una scissione insanabile tra il
certo assunto nel vero e il certo in sé e per sé […]. Assunto nell’ordine
matematico
eterno, il certo muta sostanza e qualità». Vitiello sottolinea
con grande energia l’importanza della
co-scienza
in Vico di tale problema:
questa
differenza
, che non si lascia ridurre, che nessuna superiore Unità
sembra in grado di ‘redimere’, «tocca le radici dell’intera civiltà occiden-
tale fondata sulla ‘logica’». Viene da chiedersi quali frutti avrebbe potu-
to trarre Heidegger dalla conoscenza di
questo
Vico…
Uno scacco? L’ordine della mente postula l’Uno, ma dall’Uno non si
dà
methodos
al molteplice, al finito, al certo-incerto delle cose, dei fatti,
del mondo. D’altra parte, dal certo in quanto tale è impossibile prende-
re inizio, poiché esso, di per sé, al suo fondo, è muto; il Discorso non può
ascoltarlo, ma solo ‘imporre’ ad esso la propria parola e dimostrare che
tale ‘imposizione’ rende unitariamente comprensibile lo sterminato ocea-
no del mondo delle nazioni. Ma si dà uno schema, un passaggio, un
medio capace di superare l’abisso, che minaccia di inghiottire il pensie-
ro, tra gli ordini, che nella mente dell’uomo Dio pensa, e il certo commi-
sto a passioni, affetti, impulsi, tutt’uno con la ‘materia’, il ‘corpo’ della
libido
, e l’ ingens sylva da cui siamo emersi e
in-formati
ad un tempo?
Lo schema, per essere davvero tale, dovrebbe ‘tenere’ da entrambe
le parti che costituiscono la differenza. Il medio o è ‘ponte’ reale o non
può realmente armonizzare gli estremi. Ma come potrebbe la mente fini-
ta porsi dal punto di vista dell’Uno? Non si farebbe così di nuovo di Dio
null’altro che un nostro
positum
? Non si finirà così col negare proprio
il Dio che cerchiamo? Vitiello ritiene che il
conatus
possa rappresentare
l’unico termine-medio indicabile in coerenza col pensiero vichiano.
Conatus
non è movimento, ma possibilità-potenza (
dynamis
) del movi-
mento; non è quiete, ‘pax profunda’, ma poter-essere di ogni ek-sistere.
Ciò implica, tuttavia, intendere l’Uno nel senso esclusivo dell’essere-ori-
gine e la perfetta inconoscibilità e ineffabilità dell’Uno nell’essere-quie-
te in se stesso. E dunque la impossibilità di dedurre dall’Uno qualsiasi
MASSIMO CACCIARI
106