non potrà, tuttavia, che restare
scettica
intorno a tale fede. Dramma del-
l’anima di Vico, come già Enzo Paci (alla cui memoria Vitiello dedica la
sua fatica) seppe intenderla, ascoltarla. La domanda dell’
ora
, la doman-
da che inquieta e fa
cogitare
, non è dunque che cosa ‘salvi’ la libertà, ma
quale idea di libertà possa tanto efficacemente agire, tanto contro-cor-
rente procedere, da salvare dalla barbarie della riflessione.
La Scienza nuova non è una ‘filosofia della storia’, in cui lo spirito
del sistema prevarichi sulla filologia. Né è una riformulazione dell’ac-
cordo irenico tra filosofia e filologia, caro a tanto, e grande,
Umanesimo. Le nozze di Filologia con Mercurio Psicopompo (che
Giovanni Reale ci ha fatto ‘leggere’ nella
Primavera
del Botticelli) giun-
gevano, nell’Umanesimo, a interessare soltanto la ‘parola pensante’ e il
pensiero che in essa si incarna, ma non toccavano quell’abisso della
parola che riguarda la sua originaria corporalità. Da quelle nozze pote-
va ancora sorgere una ‘filosofia della storia’ teleologicamente orientata
al trionfo del sapere, che in sé giunge a comprendere l’intero divenire,
alla sintesi di tempo e concetto. Una tale conclusione è impossibile in
Vico. La sua scienza rimane aperta. L’incertissimo delle origini si riflet-
te sull’imprevedibilità dell’avvenire. Per Vico l’essenza stessa del pecca-
to originale consiste nel volerlo sapere! Lungi dal permettere di cono-
scere un Fine teosoficamente esprimibile, questa scienza lascia ‘salda-
mente’ presagire la possibilità reale di un ricorrere delle barbarie, cui
soltanto una fede sembrerebbe poter resistere. Certo, nessuno come
Vico ha saputo che le vere ‘rotture’ hanno tutte carattere religioso. Ma
si tratta sempre delle ‘svolte’ nella necessità dell’Ordine, mai di radica-
le dis-continuità.
Quid tum
?
Questo libro di Vitello, insieme ad altri suoi saggi dedicati a Vico,
‘dissacra’ radicalmente l’immagine di questo filosofo in tutto stra-ordi-
nario. Il suo discorso non armonizza affatto in una sintesi ‘quieta’ la
potenza del sapere il «diritto natural delle genti» provvidenzialmente
ordinato con la
potenza
effettuale di realizzare ciò che si vuole o di
impedire ciò che si teme. Incrollabile è la volontà di Vico di guardare
in faccia la storia. Assoluta estraneità ad ogni utopismo – è della boria
dei filosofi considerare l’uomo quale ‘deve’ essere, e non quale è.
Assoluta refrattarietà ad ogni sirena ‘progressista’. Occhio disincantato
su ciascuna epoca, nella sua luce e nella sua tenebra. La storia non è il
farsi di una ‘conciliazione’ sempre più compiuta tra Dio e l’agire
umano, ma piuttosto un terribile dialogo. Sopportarne la tensione è
piena responsabilità dell’uomo. Mai così forte e mai tanto
in dubio
NOTE SU
VICO. STORIA, LINGUAGGIO, NATURA
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