Ora, è ovvio che in ambedue le posizioni si sosteneva, ortodossa-
mente, una «implicatio» degli attributi divini che non ne metteva in
gioco l’assoluta unità: «Intelleximus Deum esse Posse, Nosse, Velle
infinitum, et quod ea tria unum sunt, verum esse», ribadiva Vico nel
De
constantia
. Ma ancor più nella tradizione della
potestas ordinata
la
«sapienza», in quanto sapienza «saggia», era intrinsecamente connessa
al carattere della «benignità», ‘vincolando’ dunque la «volontà» di Dio,
assolutamente privata di assoluta arbitrarietà, all’esercizio della sua
benevolenza, e alla scelta di un ordine stabilissimo («eterno») che pre-
vede «vie semplicissime», condizione di stabilità peraltro indispensabi-
le all’istituzione di una
mathesis
dell’universale storico: con il che la
maggiore ortodossia cattolica di un Dio non ‘volontarista’ offriva anche
la strada a prospettive fortemente e insidiosamente ‘razionaliste’ (come
ben aveva dovuto comprendere Galilei).
Ma quel vincolo esprime del Dio cristiano la più intima natura, tut-
t’altro invece che una ‘diminutio’. Al contrario la provvidenza divina,
che deriva da quanto detta la «sapienza» saggia, intimamente legata alla
sua bontà, si presenta alla volontà (con un’eco della «scientia media»
discussa da Molina e Suárez?) con tale eminenza in alcuni luoghi da
rendere a sé ministra l’«onnipotenza», come in una pagina densissima
dell’ultima
Scienza nuova
. «Imperciocché la provvedenza divina, aven-
do per sua
ministra
l’onnipotenza,
vi debbe
spiegar i suoi ordini
per vie
tanto facili
quanto sono i
naturali
costumi umani; perch’ha per
consi-
gliera
la sapienza infinita, quanto vi dispone
debbe
essere tutto ordine;
perch’ha
per suo fine la sua stessa immensa bontà
, quanto vi ordina
deb-
b’esser
indiritto a un bene sempre superiore a quello che si han propo-
sto essi uomini». Così «nella serie de’ possibili» (tutti i
possibilia
infini-
ti, salvo quelli contraddittori, che la tradizione teologica maggioritaria
indicava
de iure
aperti all’onnipotenza divina) l’«eterna sapienza» divi-
na ha dettato (alla volontà…) la scelta dei soli modi attraverso i quali
«potevano nascere» i «benefìci divini» disposti.
Certo, si può sostenere, e a ragione, che un simile vincolo della co-
noscenza è in effetti un
minuere
, e più che un
minuere
, come tutto ciò
che ‘impedisce’ Dio: dalla stessa eredità ‘ellenica’ del vincolo (discono-
sciuto solamente da pochissimi volontaristi estemi) costituito dal prin-
cipio di non contraddizione (tutti i
possibilia
sono disponibili a Dio, ma
non quelli che contraddicono tale principio logico, rendendolo ontolo-
gico…) all’impossibilità di Dio (in fondo non scalfita dalla stessa
figura
di Cristo), in quanto essere perfettissimo, di patire i patimenti (e le
NOTE SU
VICO. STORIA, LINGUAGGIO, NATURA
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