sico. L’immagine come mediatrice tra il piano del pensiero e il piano
della vita: su tutto aleggia l’espressione aristotelica del
De anima
dove si
legge che «l’anima non pensa mai senza immagini»
14
. Vico, secondo
Vitiello, risponde alla domanda sulla possibilità di errore «mutando
completamente metodo e strategia»
15
, scegliendo di raccontare, narran-
do un cammino: vero o falso poco importa, un mondo inventato dalla
favola è sempre l’invenzione di quel mondo, è il contenuto di verità, nel
senso che la forma del narrare inaugura una storia veridica. La distinzio-
ne Verità-Finzione non può funzionare all’interno del racconto, perché
non c’è sapienza riposta da insegnare, non s’insegna ma si mostra;
distinzione che è presente nella
Scienza nuova
, ma non nel
De antiquis-
sima.
Molto bene si collocherebbe qui il ritratto fatto a Descartes da
Weenix nel 1647, dove Cartesio tiene fra le mani un libro aperto e si
legge sulla pagina
mundus est fabula
; immagine utilizzata variamente da
Nancy che commenta l’
ego sum
ricordando che la favola introduce la
finzione con un procedimento nuovo, procedimento che si applica non
sulla
verità, ma
nella
verità. La dipintura rimanda a quel che si nascon-
de dietro di essa, a quel che non si vede, a ciò che và oltre il divino. Al
Sacro? si chiede e ci chiede allora Vitiello: il suo ultimo libro, di que-
st’anno, sull’oblio e la memoria del sacro
16
, chiarisce come la dimenti-
canza del sacro si leghi proprio all’emergere della ricerca della verità.
Il passaggio nevralgico dal
De antiquissima
alla
Scienza nuova
è, nel-
l’interpretazione di Vitiello, il passaggio dalla convinzione che le prime
parole custodissero una sapienza riposta all’intuizione che queste
custodissero una storia inconscia. E segue così la formazione dello stra-
to inconscio del fare umano, della nuda realtà naturalistica dalla quale
bisogna allontanarsi per riunirsi in quella zona dell’anima che Paci
chiama la «memoria oscura», identificata con il mito. Il passaggio che
sottolinea Vitiello dall’etimologia alla genealogia del linguaggio, dal
De
antiquissima
alla
Scienza nuova
, è la dimensione che caratterizza e valo-
rizza quel sentire senza avvertire, sentire proprio delle bestie, dell’uo-
mo-bestia che è sempre in noi: l’emergere del
facere
accrescerà e non
sminuirà l’incidenza dell’inconscio, perché privilegerà l’aspetto del
vero e non della consapevolezza del vero. Le dolcezze dell’inconscio
finiscono per costituire l’antidoto alla separazione tra umano e divino.
NOTE SU
VICO. STORIA, LINGUAGGIO, NATURA
131
14
A
RISTOTELE
,
Dell’anima,
III, 7, 431 a 17, in
Opere,
Bari, 1998, p. 180.
15
Vico
, p. 51.
16
I
D
.,
Oblio e memoria del sacro,
Bergamo, 2008.