e metaforico. E tuttavia questa lingua della lontananza e dell’esilio, del-
l’esilio dalla ‘natura’, come Vitiello la definisce, resta nondimeno lega-
ta alla sua duplice origine, a ciò che è prima di ogni storia e insieme a
ciò che della storia motiva la nascita e il ‘corso’. In termini di immagi-
ne: resta legata alla cieca materia oscura che fa da sfondo nella dipin-
tura e all’occhio divino che presiede al processo circolare o che gli so-
vrintende. Questo legame non si può cancellare o contestare, pena il
non senso di tutto il discorso. Esso mantiene la sua efficacia anche là,
e forse soprattutto là, dove i suoi due termini vengono opposti e ridot-
ti quasi a una esclusività e inconclusività reciproca: perché per esclu-
derli o per negarne il nesso, direbbe Hegel, bisogna anzitutto presup-
porli e cioè proprio correlarli nel porli. Il che è come dire che le due
‘storie’, prima ancora di distinguersi e anzi di opporsi, alludono a
un’unità prespirituale e premateriale, a qualcosa che non è né cielo né
terra, riconosce Vitiello, ma che (non si può non aggiungere) assume
tutto il suo possibile senso, sia pure obliquo, dal contenuto di quei
‘non’. Vitiello lo sa bene, ma forse come Zarathustra, nella sua ‘ora sen-
za voce’, non mostra qui troppo desiderio di farsene carico o di farci
intendere sino in fondo cosa in ultimo ne pensi, preservandone forse e
in tal modo il ‘mistero’.
Non sempre la vichiana «scienza nuova» è all’altezza, dice Vitiello,
delle due storie che nondimeno la attraversano, segnandone la grandez-
za. In certo modo analoga è la critica che Vitiello, pur entro un genero-
so, articolato e sostanziale apprezzamento, rivolge a
Ingens sylva
di
Paci. Muovendo dalla sua prospettiva esistenzialistica, Paci rivendicava
originalmente il ruolo della materia, del corpo e della natura in Vico,
opponendosi a letture troppo idealistiche, sia di stampo crociano (talo-
ra peraltro avvicinandovisi), sia gentiliano, più nettamente respinto;
cioè a letture troppo sbilanciate verso il trascendentale, lo spirituale, l’
‘attuale’ negatore dell’oscuro passato di questa terra, di questa aiuola
che ci fa tanto feroci. Però anche Paci ricade infine in un «equivoco
umanesimo», in un ottimismo trascendentale dell’uomo storico, impe-
gnato nel cammino destinale di una verità ‘antropologica’ che gli sareb-
be assegnata dal tratto universal-metafisico della sua stessa
humanitas
‘storica’. E in effetti proprio così Paci leggerà anche la conclusione
della
Krisis
di Husserl. L’esistenzialismo ‘positivo’ di Paci, trasfigurato
poi nel suo relazionismo e infine nella sua fenomenologia genetica, con-
serva e alimenta un cuore ‘umanistico’: concordo con Vitiello. La bat-
taglia contro il ‘negativo’, iniziata con la tesi di laurea sul
Parmenide
di
NOTE SU
VICO. STORIA, LINGUAGGIO, NATURA
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