Platone e culminata nella rilettura marxiana di Husserl (e viceversa) è
un tratto costante del pensiero di Paci; quel tratto che rende ancora
oggi così toccanti le sue ultime riflessioni sulla tragedia sovietica e sul-
l’alienazione capitalistica perdurante e trionfante, riflessioni sgomente
di dover riconoscere «il male nel quale l’uomo si radica», a quanto pare
senza rimedio né ‘provvedenze’ immaginabili o soluzioni trascenden-
tali possibili.
Detto questo, vorrei però suggerire anche una lettura più proficua
del punto contestato da Vitiello: qualcosa che, come in Vico a proposi-
to delle due storie, talora in Paci si afferma e talora invece scompare o
resta in ombra. Per brevità possiamo richiamare il punto in questione
ricordando che Paci (poi imitato e seguito anche da Giuseppe Semerari)
utilizzò più volte l’espressione vichiana «scienza nuova» per indicare la
scienza della
Lebenswelt
della fenomenologia. A fare da mediatore tra
Vico e Husserl, Paci inseriva poi Marx (e in questo senso, ma solo in
questo senso, anche l’antropologia di Feuerbach). Cosa significava tutto
ciò? Io leggerei in questi nessi la massima valorizzazione di quel «senso
comune» che Vico pone alla base di ogni attività e conoscenza umane:
tema grandioso e straordinariamente fecondo che a mio avviso è ancora
ben lungi dall’essere stato compreso nelle sue possibilità di sviluppo
attuali. Paci leggeva in tale tema la questione husserliana della prassi
precategoriale, di cui la prassi teorica stessa è parte e conseguenza.
Come Vico, sottolineava la natura astraente della lingua filosofica e di
quella scientifica; in accordo cioè con le fondamentali osservazioni
vichiane relative al
minuere
; quindi la necessità di sempre nuove ‘ridu-
zioni’ alle operazioni precategoriali delle pretese del sapere, al fine di
preservare, come diceva, la «vita della verità» dal pericolo dei frainten-
dimenti feticistici e delle alienazioni formalistiche. Tra parentesi mi chie-
do se non sia proprio questa la via da seguire per ripensare e in certo
modo ridimensionare anche le critiche che Vitiello rivolge alle tre età
vichiane, appiattite, a suo dire, sulla terza: ma non sono esse stesse un
consapevole ‘
minuere
’, che peraltro non risolve nel loro ‘schema’ il pro-
fondo della vita, dal momento che la «scienza nuova» è palesemente da
intendere, seguendo Vico, come un evidente frutto della ‘decadenza’ del
ciclo storico? Non vorrei entrare qui in tale problema, così sottile e d’al-
tra parte così profondamente argomentato da Vitiello, con ammirevole
ricchezza di erudizione e di dottrina. Restiamo a Paci.
Il proposito di intendere la scienza nuova come rivendicazione della
natura ‘storica’, cioè contingente e ‘materiale’, della prassi umana ispi-
CARLO SINI
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