lateralismo della presunta unica causa di fenomeni molteplici, anziché
scorgere questi attraverso le loro molteplici cause, solo da cui puo deri-
vare l’individuazione della causa «vera», come abbiamo gia sentito dire
da Vico. In tale direzione e per conseguire siffatta posizione Vico com-
pie un’ardita comparazione. La metafisica «commisurata alla debolez-
za del pensiero umano» deve partire dal presupposto «che conoscere il
vero è la stessa cosa che farlo». Ed allora, «Dio conosce le cose fisiche,
mentre l’uomo le cose matematiche». Vale a dire, contestando scettici
e dogmatici, che l’uomo, non potendo pretendere di essere creatore
efficace ed effettivo del mondo della natura, si affida a ciò che «dentro
di sé» «immagina» quale «mondo di linee e di misure», che saranno
pure delle «astrazioni» ma tali da configurare una capacità di creazio-
ne dell’uomo paragonabile a quella di dio almeno quanto al metodo
che garantisce esattezza e verosimiglianza, se non verità. In tal modo
Vico ha trovato anche il principio del conoscere dell’uomo. Se il
cogita-
re
dà
conscientia
ma non
scientia
perché non possiede «genere o forma
del farsi delle cose», ciò equivale a dire che l’uomo consegue il pensa-
re, il pensiero delle cose pur ignorandone le cause e il modo «in cui il
pensiero si fa». In altre parole con l’
intelligere
l’uomo conosce «aperta-
mente» «tutti gli elementi delle cose atte ad esprimere un’idea perfet-
tissima», e legge «perfettamente» dentro «gli elementi delle cose». Su
tale strada Vico giunge a dire che in tal modo l’uomo genera ciò che
conosce perfettamente e si tratta del mondo che è in lui non quello
esterno a lui (la natura opera di Dio), ma è pur sempre il suo mondo.
Dice Vico, con audacia speculativa tale da sfidare l’irriverenza religio-
sa: «Deus natura artifex, homo artificiorum Deus». L’uomo è il dio
delle cose artificiali, astratte, ragionate, ma pur sempre è un dio. E su
ciò bisogna allora davvero concentrarsi, ossia su quel mondo di cui
l’uomo è dio, che deve essere investigato fino in fondo. Galileo l’ha
fatto trattandolo in un libro di numeri e linee, in cui Dio legge, ossia ha
matematizzato la fisica, leggendola «per princìpi di metafisica». Vico
legge il libro «dei fatti» servendosi dell’
intelligere
che consente non più
solo la coscienza, ma la scienza dei fatti, che è la filologia. Una celebre
Degnità della
Scienza nuova
lo dichiara solennemente, riprendendo la
dialettica scienza-coscienza del
De antiquissima
. La filosofia contempla
la ragione, donde viene la
scienza del vero
: la filologia osserva l’autorità
dell’umano arbitrio, donde viene la
coscienza del certo
, e non bisogna
dimenticare che autorità (
autoritas
come Vico scrive) deriva da
autós
,
l’essere artefice dell’uomo. Ne discende la «diffinizione» dei filologi, i
NOTE SU
VICO. STORIA, LINGUAGGIO, NATURA
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