quali sono «tutti grammatici, istorici, critici che sono occupati intorno
alla cognizione delle lingue e de’ fatti de’ popoli, così in casa, come
sono i costumi e le leggi, come fuori, quali sono le guerre e le paci, l’al-
leanze, i viaggi, i commerci». Diventa cioè chiaro qual è la scienza di
Vico, la scienza nuova: è la scienza dell’umanità, la quale non discono-
sce che «sono nella nostra mente certe eterne verità le quali non possia-
mo sconoscere e rinnegare». «Sennonché» Vico dice, accanto a questa
verità, «del rimanente sentiamo in noi una
libertà di far
, intendendosi
tutte le cose le quali hanno dipendenza dal corpo e perciò le facciamo
in tempo, cioè quando applicandovisi e tutte intendendo così, le faccia-
mo». Un esempio questo della barocca e perentoria prosa di Vico, che
va avvicinata a un’altra affermazione centrale del suo filosofare: «come
la metafisica ragionata insegna che
homo intelligendo fit omnia
, questa
metafisica fantasticata dimostra che
homo non intelligendo fit omnia
: e
forse con più verità detto questo che quello, perché l’uomo con l’inten-
dere spiega le sue cose e comprende esse cose, ma col non intendere
egli di sé fa esse cose e, col raffermandosi, lo diventa». Principio fon-
damentale che sta a significare come secondo Vico il rapporto conosci-
tivo è tolto dal piano idealistico della natura della mente che conosce e
trasferito sul piano del vissuto: «fino a che l’uomo non intende razio-
nalmente – ha commentato il Pagliaro –, cioè non applica alla natura le
forme della sua mente come categorie, egli è tutt’uno con essa, perché,
intanto che la investe di sé, si realizza e vi si compie – questo, a noi sem-
bra, significa il lapidario «lo diventa».
Par chiaro, qui giunti, che il mondo degli uomini e il mondo della
storia che gli uomini fanno, il quale si pone di fronte al mondo delle
cose eterne della metafisica, di certo non disconosciuta, al contrario
contemplata con rispetto e però avvertita
diversa
come diverso ne è l’ar-
tefice, qualcosa che l’uomo non può conoscere compiutamente perché
non lo ha fatto. E allora bisogna capire che i princìpi matematici
«immaginati» dall’uomo, che li definisce facendosene
artifex
, sono il
presupposto ineludibile della scienza delle cose dipendenti dal corpo,
ossia il risultato dell’azione dell’uomo operante nel tempo e non nel-
l’eterno della metafisica. Allo stesso modo l’astrazione dei princìpi
matematici in quanto immaginati si traduce nella conoscenza filologica
che, ricordiamolo, riguarda i «molteplici fenomeni» della natura
umana e le loro molteplici cause, selezionandole per scorgere la verità
del fenomeno indagato. Detto altrimenti Vico capisce il processo di
astrazione che non sfigura le cose e il loro conoscere ma seleziona per
FULVIO TESSITORE
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