il problema, perché se dà le due direzioni-dimensioni del movimento,
non dà però il movimento stesso – questo è affidato alla voce: all’arti-
colato discorso che es-plica, svolge in tempo quello che nel dipinto ha
la fissità dello spazio. La voce, portando a parola l’immagine, le dà
movimento, tempo. Ma la connessione originaria di parola e gesto, che
nella lingua eroica è affidata alla potenza della passione – così Vico
‘legge’ l’unità di
phoné schêma
e
chrôma
del
Cratilo
platonico –, non
trova nella
Scienza nuova
un corrispondente. Non può trovarlo. Per
due ragioni: l’una
interna
alla ‘logica’ discorso vichiano, l’altra
esterna
,
riguardando il più ampio ambito del rapporto di Vico col suo tempo.
Quella interna è rappresentata dalla mancata mediazione, tentata da
Vico nel
De antiquissima
, tra la
perfecta
quiete di Dio e l’agire dell’uo-
mo, che si riverbera nella separazione tra il
genitum
e il
factum
. Sulla
centralità del
De antiquissima
nella mia interpretazione dell’evoluzione
del pensiero di Vico hanno richiamato l’attenzione, da prospettive
diverse, sia Cacciari che Manuela Sanna: è un punto, su cui mi sembra
opportuno soffermarmi ancora. La mancata mediazione non va presa
come inopia di pensiero; ben al contrario: evidenzia l’acume di Vico, e
la sua gran libertà di pensiero: lui, cristiano e cattolico, denuncia l’im-
possibilità della conciliazione trinitaria, l’impossibilità di tenere insie-
me l’
aídion
del Padre e l’
eikón
del Figlio: la mente umana – scrive –
‘finita et formata … indefinita et informia intelligere non potest’. Il
neo-platonismo, il ‘neo-plotinismo’ (come precisava Mathieu) di Vico
si manifesta qui potentemente: non c’è passaggio da
Hén
e
Noûs
.
Portato il problema nell’orizzonte della comprensione della storia la
mancata mediazione trinitaria dice: non c’è passaggio dalla storia idea-
le eterna alle storie che corrono in tempo. Tra la Dipintura che immo-
bilizza in ‘figure’ la Storia e il movimento delle umane storie – di cultu-
ra della terra e fondazioni di Città, di commerci, guerre, navigazioni…
– non c’è ‘legame’. Le ‘due’ storie restano divise. Restano divise cono-
scenza della storia e storia, voce e gesto, parola e azione. Vico non se lo
nasconde affatto: la
Scienza nuova
– ne testimonia il continuo lavoro di
revisione a cui Vico sottopose l’opera – vive di questa scissione. Qui la
profonda relazione di Vico col suo tempo, la
Neuzeit
, la cui ‘cifra’ è la
scissione. Che il
conatus
– in Vico come in Spinoza (una relazione dai
molti aspetti, che qui posso appena ‘citare’) – non
aufhebt
, non ‘toglie’.
Cacciari ha giustamente insistito su questo punto, mostrando la pro-
fondità e l’estensione della scissione che dal linguaggio s’espande al
conoscere e all’agire, mostrando la consapevolezza tutta ‘moderna’
VINCENZO VITIELLO
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