ENRICONUZZO
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Vico e Galilei; il problema dei rapporti tra Vico e il Rinascimento (che,
sia pure implicitamente, a mio parere, le pagine sopra esaminate
pongono con forza).
Sul primo punto la posizione qui assunta da Garin risultava, a mio
avviso, nella sostanza assai giusta, e opportunamente idonea a correg-
gere le svariate linee critiche riconducibili ad una generale direttrice
del disconoscimento o della sottovalutazione di premesse e caratteri di
ordine metafisico-teologico del discorso vichiano: a partire dall’esegesi
dei maestri del neoidealismo, che peraltro – si è detto – non era rima-
sta senza tracce nella precedente considerazione gariniana della tratta-
zione vichiana del fenomeno religioso. Anzi si può al più dire che nel
suo carattere di rapida sintesi in queste pagine il discorso di Garin
rischiava di eccedere nella correzione dei teorici della centralità del
facere
, almeno sull’essenziale punto dell’apertura alla responsabilità
etico-politica dell’arbitrio umano nei tempi umani: senza il riconosci-
mento della quale andrebbe ammesso che la cruciale ispirazione
‘pedagogico-civile’, ‘etica’, della meditazione di Vico sarebbe presto
venuta meno, contravvenendo alla mai smessa indicazione che la ‘fi-
losofia deve giovar al genere umano’. Ma, occorre ripeterlo, si trattava
di una lettura ‘essenziale’, la quale anche dopo non avrebbe affrontato
il problema della ‘soglia di protezione’, per così dire, che garantisce la
provvidenza vichiana. Allo stesso modo Garin non entrava, e non sa-
rebbe entrato, nei particolari del nodo problematico relativo a portata
ed esiti del
verum-factum
sul piano epistemologico dopo la sua ‘eclisse’
nel
Diritto universale
e la scoperta del
verum-certum
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.
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Restava in sospeso, per cominciare, il problema critico del segno propriamente
‘costruttivistico’ o meno (argomentatamente problematizzato in qualche successivo ap-
porto alla storiografia vichiana sul tema) della concezione vichiana del sapere geome-
trico-matematico. Opportunamente, doverosamente, inseribile come un momento fon-
damentale di riflessione storiografica in una ‘storia del costruttivismo’, Vico difficil-
mente può essere considerato un ‘costruttivista’. Tanto meno, con maggiore difficoltà
inseribile in una storia dell’ermeneutica (filosofica), può essere considerato ‘filosofo
ermeneutico’, del cominciamento ‘interpretativo’ del reale. Su ciò la sobria lezione di
Garin può essere sicuramente invocata.
Ma il nodo del
verum-factum
ha una portata ben più estesa. Agli inizi degli anni
’70 la questione tanto rilevante dei rapporti (di continuità, discontinuità, autonomia,
compatibilità, permeabilità, etc.) dei due principi di conversione, del
verum-factum
e
del
verum-certum
, era ampiamente dibattuta, specie ad opera – come ben si sa – delle
diverse (in ultimo opposte) interpretazioni di Fassò e di Badaloni, implicando questio-
ni che esulavano da un piano strettamente epistemologico. Non a caso Badaloni evi-