quello più specifico di portarne in luce numerose componenti essenzia-
li che contribuiscono a caratterizzarla peculiarmente, l’accantonamen-
to del dato fonico rischia di risultare, a un diverso esame dei testi, frut-
to di un’indebita interpretazione. L’annosa disgrazia che ha condotto
Vico ad essere letto di volta in volta alla luce di idee da lui non formu-
late ma più o meno assonanti con le sue – quasi che i pensieri del
Napoletano fossero troppo oscuri o troppo poco ‘acuti’ per meritare
un esame in sé –, troverebbe qui l’ennesimo riscontro.
Nel suo storico saggio del 1911, Croce, richiamando l’attenzione
sull’importanza della trattazione vichiana del linguaggio, la inscriveva
nella più ampia polemica anti-convenzionalistica, coerente con l’inter-
pretazione di un Vico anticartesiano e padre dell’
estetica
. È in un passo
di questo testo che si inaugura la poi diffusissima interpretazione della
‘Degnità’ LVII per cui si viene a intendere l’esempio dei ‘mutoli’ – trat-
to dal
Cratilo
di Platone e introdotto con funzione eminentemente euri-
stica – come affermazione di uno stato di originaria afasicità:
il Vico intese che […] il linguaggio non è né logicità né arbitrio, e, al pari della
poesia, non è prodotto né di sapienza riposta né di placito o convenzione. Il
linguaggio sorge naturalmente: nella prima forma di esso, gli uomini si spiega-
rono «con atti muti», ossia per cenni, e «con corpi aventi naturali rapporti alle
idee che volevano significare», ossia per oggetti simbolici
3
.
Pensare che il primo linguaggio sia originariamente mimico-gestua-
le e non anche fonico semplifica certo la soluzione del problema circa
il rapporto di referenza tra cose e parole, garantendo un nesso imme-
diato e intuitivo fra le due
4
. La vocalità del linguaggio è quindi intesa
VICO E LA VOCALITÀ DEL LINGUAGGIO
149
3
B. C
ROCE
,
La filosofia di Giambattista Vico,
Roma-Bari, 1911, p. 50. Lo stesso
Croce scriveva nella sua
Estetica come scienza dell’espressione e linguistica generale,
Roma-Bari, 1908
3
, p. 169: «la prima espressione che (tanto per seguire l’ipotesi fanta-
stica) il primo uomo ha concepito poté avere anche un riflesso fisico non fonico, ma
mimico: estrinsecarsi non in una voce, ma in un gesto».
4
Enzo Paci, nel suo
Ingens Sylva
(Milano, 1994; I ed. Milano, 1949), proponendo
una per altro originale e interessante ricostruzione del pensiero vichiano, sottolineava:
«il caso di Vico è simile al caso Platone. Capirlo è quasi sempre tradirlo, o meglio, svi-
lupparlo, ordinarlo in una coerente visione filosofica che corre sempre il rischio, però,
di impoverire l’inesauribile fecondità dell’opera. […] Capire Vico, in altre parole,
interpretarlo, non è possibile se non ponendosi di nuovo e da capo tutto il problema
della filosofia» (pp. 129-130). La lettura che veniva allora proposta era tutta basata sul
problema del dualismo che avrebbe animato della sua più autentica tensione e passio-