La tesi è corroborata dalla relazione, già rimarcata da Vico, tra
logos
e
dabar,
termine ebraico usato per indicare ‘parola’, ma che propria-
mente significa appunto ‘fatto’, cioè indica la parola «non solo nel suo
contenuto semantico ma anche nel suo valore pragmatico»
24
. La
poiesis
originaria è sì finzione, ma nel senso creativo del
facere,
per cui il fare
poetico del linguaggio finge, cioè crea, il mondo stesso di cui parla
25
.
Ora, proprio con ciò, resta la difficoltà di spiegare il passaggio dalla
lingua poetica alla lingua convenzionale.
VICO E LA VOCALITÀ DEL LINGUAGGIO
157
24
Ivi p. 273. E si potrebbe ampliare il rilievo ponendo il riferimento tra
dabar
e il
greco
pragma,
la cosa agìta, cui Platone per altro si riferisce in
Cratilo, 423d,
quando
afferma che ogni
pragma
è dotata di
phoné, schema,
e
chroma.
25
Un’anticipazione del tema, per quanto circostanziata al solo
De antiquissima,
può
ritrovarsi almeno in B. D
E
G
IOVANNI
,
‘Facere’ e ‘factum’ nel ‘De antiquissima’,
in
«Quaderni Contemporanei» II (1969), pp. 11-35, dove si conclude: «il richiamo di
Vico all’antica sapienza implica dunque soprattutto fondare il
medio
del linguaggio
come struttura rivelativa del
factum,
attraverso la quale fa mostra di sé l’esperienza,
anche la più astratta e stilizzata. In primo piano è questo
medio,
questo
factum,
non
l’ipotesi metafisica che attraverso ad esso s’afferma. […] In Vico, la fattualità del
nomen
già lo rende in qualche maniera
cosa
sperimentabile» (p. 34). La centralità del-
l’implicazione tra linguaggio e azione, sarà per altro ripresa da A
GRIMI
,
op. cit.,
pp. 113-
130. Un ulteriore sviluppo sarà invece apportato ponendo la discussione in relazione
all’habermasiana
etica della comunicazione,
secondo quanto sviluppato da F. B
OTTURI
,
Tempo linguaggio e azione. Le strutture vichiane della «storia ideale eterna»,
Napoli,
1996. Dopo aver riesposto la tesi del primo linguaggio muto (p. 64), si afferma che «la
poetica vichiana
non è solo una gnoseologia, ma anche una
teoria della comunicazione
»
(p. 106). Vico avrebbe il merito di rivalutare la componente pragmatica-operativa del
linguaggio di contro alla tradizione occidentale inaugurata da Teofrasto e la sua cano-
nizzazione del logos epistematico. Vico sarebbe così teorizzatore di un «agire significa-
tivo, perfettamente reversibile nel significare come azione […]; il
linguaggio mitico è
essenzialmente azione,
sia nel senso che non è descrizione benché favolosa di stati fisi-
ci, ma è significazione dell’agire archetipico e fondatore del dio o dell’eroe, sia nel
senso che è linguaggio in cui in primo piano è il suo essere azione linguistica, che sta in
un intimo rapporto di ripetizione mimetica con ciò che esso stesso significa e rappre-
senta […]; il
mito è anche sempre rito
» (p. 115). Per una ripresa e sviluppo di tali tesi,
ora soprattutto incentrate sulla relazione tra il principio del
verum factum
e i fonda-
menti dell’ermeneutica heideggeriana, cfr. I
D
.,
Ermeneutica dell’evento: la filosofia del-
l’interpretazione di Giambattista Vico,
in
La filosofia pratica tra metafisica e antropologia
nell’età di Wolff e Vico,
a cura di G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, H. Poser, M.
Sanna, Napoli, 1999, pp. 447-470. Su posizioni ancora più forti e marcatamente pras-
sistiche si colloca invece il recente contributo di F. F
ELLMANN
,
Il pragmatismo simboli-
co di Vico. Per una critica della ragione fantastica,
in
Il sapere poetico e gli universali fan-
tastici. La presenza di Vico nella riflessione filosofica contemporanea,
a cura di G.
Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, E. Nuzzo, M. Sanna, Napoli, 2004, pp. 187-202.