che è in definitiva il passaggio dall’atto linguistico individuale alla lingua come
sistema di segni. Ma questa difficoltà è per così dire insita nella stessa concezio-
ne vichiana del linguaggio e nel suo originarsi dal campo della retorica. L’esigen-
za di opporsi alla compatta tradizione razionalistica […], per ricollegarsi invece
a quella retorica, […] determina in Vico una considerazione unilaterale, ecces-
sivamente sbilanciata cioè sul concreto atto individuale del parlare
26
.
Il problema del convenzionalismo, dunque, è il problema della si-
gnificatività del segno e quindi della possibilità del costituirsi del lin-
guaggio stesso come ‘sistema di segni’, ossia orizzonte globale in cui si
struttura ogni rimando tra significante e significato, intesi come entità
distinte e implicantesi solo in funzione di un insieme di regole non im-
mediatamente inferibili dalla natura materiale dei significati e dei signi-
ficanti stessi, ma appunto convenute dal gruppo sociale in cui quel si-
stema è assunto come valido. In questa luce, il fallimento di Vico può
essere interpretato come l’incapacità di render conto non tanto della
vocalità del linguaggio, quanto dell’esser-segno della parola sonora.
L’unica alternativa a questo stato aporetico, sembrerebbe quindi
quella proposta in un saggio del 1995 da Cecilia Castellani, la quale ri-
prende la necessità della presupposizione di uno schema mentale che
sia almeno latente in potenza nei
bestioni,
e tale da garantire quindi la
continuità dell’evoluzione linguistica, mediante la presupposizione del
comune denominatore della razionalità:
già nel primo gesto rivelativo della coscienza, dentro il procedimento metafo-
rico che l’uomo aziona, agisce un presupposto comunicativo: può stabilire un
significato per il fulmine (e così appropriarsene), in quanto presuppone che
quel fatto, all’apparenza nudo e scabro e che lo minaccia di questa insensatez-
za, vuole dirgli qualcosa. […] Gli dèi e gli uomini comunicano: è questo il
sacro. […] Se non vi fosse struttura, schema di contenimento, anticipazione e
preventiva organizzazione in un andamento unitario, per quanto differenziato,
delle fasi o epoche del linguaggio, non potrebbe mai darsi «sviluppo» e «pas-
saggio» tra un prima interamente «mutolo», emozionale, inarticolato del lin-
guaggio e un momento dell’articolazione. Deve esservi mente preventivamen-
te articolata, deve esservi gigante già predisposto all’umanità
27
.
ANDREA SANGIACOMO
158
26
Ivi. p. 283.
27
C. C
ASTELLANI
,
Dalla cronologia alla metafisica della mente. Saggio su Vico,
Bologna, 1995, pp. 38-40. La tesi sarà riscontrabile anche in F. B
OTTURI
,
Tempo linguag-
gio e azione,
cit.: «è l’idea dell’ordine ciò in cui propriamente gli uomini comunicano»
(p. 155).