lità di lingua muta e lingua articolata assumerebbe un ben più profondo
significato, legato non più al
come
possa innestarsi la convenzionalità del
suono sulla naturalità dell’immagine simbolica, quanto invece al
perché
la
naturale espressività del suono, venga alla fine meno e finisca per esser
ridotta alla convenzionalità simbolica del segno.
Il ‘cenno’ di Giove è davvero pensabile come ‘segno’, inteso come lo
intende la linguistica o la semiotica o la
sematologia
36
? Non viene così
del tutto messo da parte il contesto in cui Vico stesso colloca quest’espe-
rienza, ossia quello
religioso
? Anzi, meglio, non si rischia così di manca-
re proprio la comprensione del senso che il religioso doveva avere per i
primi
bestioni
, mancando quindi anche la possibilità di spiegare perché
questa esperienza fu la scaturigine delle prime forme di linguaggio?
In effetti, nemmeno le diverse comparazioni che sono state propo-
ste tra il pensiero vichiano e gli altri grandi esponenti del dibattito lin-
guistico settecentesco, aiutano a procedere in questa direzione, ma
paiono anzi condurre esattamente nel verso contrario. Si prenda, per
esempio, Condillac:
le esclamazioni di emozione contribuirono allo sviluppo delle operazioni del-
l’anima, dando occasione in modo naturale al linguaggio d’azione
37
.
ANDREA SANGIACOMO
162
36
J. T
RABANT
, nel suo
La scienza nuova dei segni antichi. Vico e la sematologia,
tr. it.
Roma-Bari, 1996, riprende diversi spunti del discorso di Cantelli formalizzandoli nei ter-
mini di una sematologia, espressione coniata a partire dai ‘semata’ di Omero, che Vico
cita come esempio di parole reali (pp. 4-5). La
poiesis
primordiale viene intesa come pro-
duzione di segni non distinguibili dai significati (p. 32), mentre la
favella
è da intender-
si non in senso fonico ma nel senso dell’espressione (p. 35), laddove il
parlare
rinvia alla
dimensione comunicativa del dir qualcosa a qualcuno (p. 41). I primi caratteri poetici (i
semata
, i segni) mancano totalmente di fonicità (p. 45; pp. 68-69), sono le parole reali
dei mutoli: è la lingua degli eroi e poi quella degli uomini a essere caratterizzata dalla
fonicità (p. 80). Trabant ricorda il ‘parlar cantando’ e il ‘dar nel canto’ degli scilinguati
ma le intende come motivazione dell’emergere vocale della lingua degli eroi-uomini,
quindi successiva a quella degli dèi, sostanzialmente muta o, meglio, scrittura muta di
segni-caratteri-semata (p. 142 e p. 148 nota 28). Tra l’altro, per Trabant proprio la genea-
logia e l’introduzione dell’elemento fonico risulta problematico e non ben spiegato da
Vico (p. 83). Ciò nonostante, va riconosciuto che nel suo più recente contributo
Grido,
canto, voci,
in
Il corpo e le sue facoltà,
a cura di G. Cacciatore, V. Gessa Kurotschka, E.
Nuzzo, M. Sanna, A. Scognamiglio, «Laboratorio dell’ISPF» II (2005) 1, pp. 22-32,
Trabant sottolinea come «il primo linguaggio in Vico è canto: sistematicamente il canto,
questo precursore della lingua articolata è dunque il fratello del gesto» (p. 27).
37
E. B.
DE
C
ONDILLAC
,
Saggio sull’origine delle conoscenze umane,
tr. it. Torino,
1976, pp. 210-211.