civile (e qui i nomi che ricorrono sono quelli di Heidegger, Gadamer e, natu-
ralmente, Apel).
Il volume alterna, così, parti storico-descrittive relative all’individuazione
dei principali snodi ermeneutici rinvenibili nelle opere di Vico e parti storico-
critiche nelle quali si analizzano, come si è detto, le tappe principali della rece-
zione di Vico nella costellazione delle filosofie ermeneutiche moderne e con-
temporanee. Naturalmente – e fa bene Woidich a sottolinearlo – attraverso
l’esame delle opere di Vico, ciò che emerge non è certo una esplicita filosofia
ermeneutica, quanto, piuttosto, un articolato ambito di problemi nel quale si
intrecciano i riferimenti alla tradizione ermeneutica classica, l’uso della sco-
perta dei miti e del loro significato metaforologico, il ricorso sistematico all’eti-
mologia. «Da questo concreto terreno problematico filologico-ermeneutico, si
sviluppa […] la consapevolezza ermeneutica di Vico e il suo pensiero storico.
Dal momento che Vico, finora, è stato considerato innanzitutto nel contesto
dell’ermeneutica metodologica o linguistico-ontologica del XIX e del XX
secolo, è restato sottovalutato dal punto di vista comparativo quest’ambito
filologico» (p. 19). Perciò si comprende la scelta dell’A. di dare spazio – nel-
l’analisi corretta ed esauriente dei testi di Vico – non soltanto a ciò che potreb-
be definirsi il contesto teoretico delle ‘tracce’ ermeneutiche vichiane e, dunque
alla
Scienza nuova
(come hanno fatto Dilthey e Cassirer, Betti e, per qualche
verso, anche Auerbach). Nelle pagine del libro vi è, invece, ampio spazio
anche per il
De ratione
, secondo una precisa direzione interpretativa risalente
a Gadamer, Habermas e Apel. Nel capitolo dedicato al
De ratione
(pp. 25-47)
vengono, così, in primo piano concetti come
prudentia
, senso comune, topica,
nuova arte critica
(nel senso della tradizione varroniana e baconiana). La stes-
sa insistenza sulla ricerca di un oggetto privilegiato di questa arte individuato
nella
sapientia veterum
(il riferimento dell’A. è ora al
De antiquissima
, cfr. pp.
48-67) è da intendere non tanto o soltanto nel senso della scienza antiquaria,
ma in quello di una prima trasposizione della tradizione allegorica e mitologi-
ca in una ‘mitologia istorica’, fondata, cioè, sia antropologicamente che lingui-
sticamente. È il processo che condurrà prima alle tesi del
Diritto universale
(qui analizzato alle pp. 68-83) e poi alle diverse edizioni della
Scienza nuova
(pp. 84-145), nelle quali ciò che viene al centro è innanzitutto l’idea di una
«mitologia istorica» pensata in una chiave antropologica e linguistica.
Qui non è certo possibile dar conto della ricchezza di tutti i passaggi stori-
co-ricostruttivi ed analitici presenti nel volume. Mi limito, perciò, soltanto a
segnalare alcuni punti che mi sembrano particolarmente rilevanti. Il primo di
essi è la informata e critica discussione sulla «rilevanza ermeneutica» del
De
antiquissima
e sulla ‘svolta’ interpretativa che di questo testo ha proposto la let-
RECENSIONI
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